Prefazione de La congiura Fornaciari (capitolo 17, segue dal capitolo 16)
Con tutte le batoste che aveva rimediato, Fornaciari si trovava nella brutta situazione di chi deve lavorare per pagare i creditori; eppure si sentiva lui in credito con la fortuna, e anche nei confronti di quel mondo che lo aveva voluto condannare dopo averlo assolto; per questo tanto più non voleva rassegnarsi e non si dava per vinto.
Era stato impulsivo sul principio, prepotente, fanfarone, non poteva negare; però ce l’aveva messa tutta per ricombinarsi; era stato imprudente nel tentare imprese non ben meditate e aveva accumulato debiti e nemici. Non per questo aveva smesso di tentare, e il suo senso d’avventura, invece di deprimersi, s’ingigantiva. Così era partito per il Golfo del Quarnaro tutto pieno di speranza che, trovandosi là tanto pesce e pochi pescatori (il contrario che da noi, dove a forza di pescare sotto costa non si trova più niente) avrebbe guadagnato dei bei soldi, sufficienti per pagare tutti i buffi e per togliersi qualche soddisfazione. Ma io dico che se uno è sognatore, è generoso e ha nel cuore un forte senso di giustizia non è fatto per mettersi in affari. Fornaciari era attivo, intelligente, fantasioso, ma aveva due difetti: era sincero e si fidava degli amici. I marinai li aveva scelti lui, nel mazzo dei più malfidati, verrebbe di dire: tempo appena che ti mettono una mano sulla spalla che già t’hanno fregato. Stornavano gli incassi nelle loro tasche e non tenevano in ordine le barche. Colpa sua, gli doveva stare sopra; fatto sta che da otto mesi di lavoro Fornaciari aveva ricavato poco o niente e le barche in condizioni da buttarle via.
Se ne era dovuto ritornare senza un soldo e col morale sotto i piedi, tutto il viaggio a rompersi la testa col pensiero di trovare i creditori tutti lì sul molo ad aspettare lui. Poteva sistemarli, sul momento: qualcosa aveva pure da impegnare, aveva mobili e depositi sotto sequestro che qualcosa potevano valere; avanzava lui stesso qualche soldo che non gli era stato reso; poteva lavorare, un mestiere nelle mani ce l’aveva, sempre un punto di partenza per tirarsi su di nuovo e per fagliela vedere a quelli là , perché lui sapeva farsi rispettare, tanto più se lo mettevano sul punto di reputazione; solo aveva un dolore allo stomaco, un’ansia crescente man mano che la barca veniva costeggiando Gabicce, la Vallugola e sotto Focara, dove già questa luna d’agosto lasciava intravedere i pescatori che tiravano fuori le battane dalle loro grotte per metterle in mare, e giù giù lungo costa tra Fano e Marotta; una specie di crampo che solo un certo odore riusciva curare: non sono fatti miei ma, voglio dire, qualcuno magari l’aspettava contento di vederlo e non soltanto per avere indietro i soldi. Lui avrebbe bussato piano piano, lei lo avrebbe visto attraverso una fessura e si sarebbe precipitata ad abbracciarlo. L’odore di casa. (segue…)
(Prefazione a La congiura Fornaciari, capitolo 17, segue dal capitolo 16, continua nel capitolo 18)
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