Prefazione de La congiura Fornaciari (capitolo 15, segue dal capitolo 14)
Madonna però se mi fate discorrere, e di quali argomenti: mi fuma il cervello. Adesso col vostro permesso vi racconto una cosa che mi piace prima di andare avanti con questa storiaccia di carceri e di tribunali. Sapete che quest’anno al teatro di fiera hanno dato Cimarosa e Paisiello uno dopo l’altro? Dell’uno “La ballerina amante†è tanto che la rappresentano: vuol dire che piace; dell’altro “L‘amor contrastato†non ha più di sei mesi, ma già si capisce che vale e che andrà dappertutto. A me veramente la passione mia sarebbe l’opera seria, che è il vanto di questo teatro; però non la danno tutti gli anni perché costa molto ed è anche difficile trovare le compagnie giuste; le due opere buffe hanno avuto comunque successo, per quanto la Clotilde Cioffi, che era prima buffa in entrambe, bravissima a cantare, a recitare non sia molto più di zero; e per fare la Molinarella, dico io, qualche grazia bisogna pure averla.
Insomma: sarà stata l’attesa che le ha fatto gioco; perché certo il Legato ce le ha fatte sospirare queste due commedie: s’è impuntato che c’erano frasi nel testo un po’ troppo scandalose, che andavano tolte: così lo stampatore Lazzarini ha dovuto emendarlo, e s’è perso tempo; e quando tutto è stato sistemato la voglia di teatro era salita alle stelle.
Meno male che non è successo niente, io credo per via delle regole severe che hanno messo da due anni a questa parte: vietato entrare armati di pistola o coltello; vietato gettare confetti o alcun altro oggetto sul palcoscentico; vietato far circolare sonetti o altri componimenti né a lode né a dispregio degli attori; non si può chiedere loro di ripetere arie o altri brani dell’opera senza un preventivo permesso; non si possono portare cani e bambini lattanti. E lo capite, no, perché mettevano simili divieti? Perché queste cose le facevano davvero: altroché confetti lanciati dal loggione: venivano giù sputi, tiravano anche i sassi; e mentre all’interno dei palchetti con le tende chiuse la nobiltà cenava, in platea e in piccionaia circolavano i fiaschi di vino, le gluppe col mangiare, e si tenevano i foconi accesi per quelli che volevano fumare.
Eppure, a dispetto dei divieti, qualcosa è comunque successo: finita la recita il pubblico in piedi ha chiamato fuori gli attori e ha chiesto a gran voce che facessero il bis; e quelli, vi lascio immaginare, lusingati, sono usciti per godersi gli applausi, due, tre, quattro volte; poi l’orchestra ha ripreso a suonare e la Cioffi si è rimessa a cantare: allora il Legato ha mandato sul palco le guardie che fermassero quella replica non autorizzata. Basta basta, la commedia è finita, il teatro chiude il portone, a tutti buonanotte e andate a casa.
Fornaciari non c’era. Fosse stato presente non sarebbe mancato di sicuro; ma era andato oltre il mare, a pescare dalle parti di Lussino. Gli sarà dispiaciuto non poter venire, perché non sta al mondo che un sinigagliese non vada alla fiera: ci vengono da tutte le parti! Come dice il poeta? “A Sinigaglia vengon da Russia e da Inghilterraâ€. Embè, volevate che la nostra grande fiera non avesse il suo bravo cantore? Eccola qua la poesia, cotta e mangiata:
Di Sena al grande emporio da ogni cittade illustre
Vien dalla bella Europa il negoziante illustre.
Vi vien donde il cocente pianeta l’uomo imbruna
E donde il Settentrione l’acque gelate aduna.
In abbondanza molte preziose merci e rare,
Vi portano per terra o per le vie del mare;
E tanto de’ suoi traffici contento ognun si chiama,
Che affretta col desio l’anno novello, e il brama.Vengon da Roma o d’altra città del Papalino
Dominio, oppur dal Veneto amico, ch’è vicino;
Di Francia, da Milano, Ragusi, Malta e Spagna.
La Sicilia e la Corsica Firenze qui ne manda,
Modena, Parma e Genova, Fiandra, Ginevra e Olanda.
A Sinigaglia vengon da Russia e da Inghilterra,
Lo Svizzero vi corre. Da più lontana terra
E l’Indo e il Perso e l’Arabo ed altri dell’Oriente
Popoli, che si mischiano con quelli del Ponente.
È pur vero che chi viene alla fiera in generale non ha molto pensiero per la poesia: preferisce tuffarsi nella confusione delle botteghe effimere e delle bancarelle; e sotto i tendoni, in mezzo a odori, grida, chiacchiere, il massimo dei versi sono quelli che fanno i venditori perché il pubblico si accorga della loro merci. Una volta si sentivano i greci più degli altri, con quel loro parlottare crepitante, podò, podà , paracalò, paracalà : e coi greci i levantini in generale, ragusei, zaratini, turchi; ma da qualche anno sull’oriente prevale l’occidente: non tanto i tedeschi che ci sono sempre stati, coi loro giocattoli di Norimberga e le belle ceramiche che sanno fare; e gli austriaci con tele, pellami lavorati, manufatti metallici, chincaglie; ma gli inglesi e gli olandesi; quelli sì che fanno dei bei soldi! Adesso sono loro che smerciano le robe orientali, e dalle grosse navi che lasciano al largo scaricano di tutto nelle lance: ingenti partite di zucchero, di legno campeggio, di cannella; e poi incenso, indaco, gomma, china, garofani, zenzero, caffè, cacao, tè e altri generi qualificati come droghe; e poi aringhe, baccalari, salmoni. Tantissimi clienti.
Le donne vanno tutte dai francesi e si fanno abbindolare da quei loro arrotolati pon pon, sciffon, sciaperon, parnanzon che le fanno sentire gran signore. Ma è vero per tutti che ogni anno quando c’è la fiera si respira una boccata d’aria, si vedono persone e si sentono parole nuove. Una volta Goldoni – proprio lui che è veneziano e che dovrebbe guardare a casa sua – ha preso questa fiera a pretesto per una commedia salace e leggerotta: i nostri si sono riconosciuti nei suoi personaggi e, tristeguai, hanno riempito l’autore di proteste e vituperi, che così non si fa, che Sinigaglia non è libertina come lui la rappresenta, e in ogni modo guai a chi tocca la fiera e a chi osa dirne male.
La città è libertina? Diciamo che c’è gente di ogni specie. Ormai da qualche anno, chissà se per smentire Goldoni o per dargli ragione, il Vescovo fa affiggere il seguente bando: «E’ vietato dar ricetto alle cosiddette caffettiere, le quali, sotto il meditato pretesto di vendere caffè, tengono fondaco aperto a disonestà …»
Devo proprio spiegarvi che il vostro Fornaciari, malgrado il divieto, si lasciava guidare volentieri dall’odore del caffè in direzione di quei fondaci, che anche qualcuno dei signori lo annusava nell’aria, e che, almeno in quei frangenti, l’uno e gli altri non erano nemici, ma facevano la fila insieme per entrare nei medesimi ricetti? (continua…)
(Prefazione a La congiura Fornaciari, capitolo 15, segue dal capitolo 14, continua nel capitolo 16)
1 Risposta a “L’odore del caffè”