Prefazione de La congiura Fornaciari (capitolo 8, segue dal capitolo 7)
L’agricoltura invece rimane una faccenda in prevalenza chiusa tra nobili padroni della terra e contadini che gliela lavorano. La sottile distinzione che intercorre tra uno che dissoda la gleba e uno che ne gusta i frutti, mentre li lega entrambi a una comune sorte, rende loro un diverso sentire. Chi accumula derrate senza scavare solchi e sollevare pesi si compiace di vivere in campagna, dove possiede un casino per la caccia e la villeggiatura; in primavera è un piacere per lui passeggiare la mattina, quando il sole inargenta gli olivi e tinge di verde tenero le messi non ancora dorate. E mentre gli augelli empiono l’aere di dolci melodie e dei loro bisticci amorosi, risuonano armoniose le campane delle Grazie a inondare i campi. Allora la forosetta si accosta all’orlo del pozzo per attingere acqua e sorride fuggevole dietro al fazzoletto, aspretta e gustosa come un mandorla di primavera; e intanto i contadini sollevano il dosso dal maggese e, schermandosi il viso con la mano, «Buongiorno Signor Conte,» salutano, e ne seguono l’andare finché lui non scompare oltre gli alberi, di là dalla curva. Questa terra per lui è veramente l’Arcadia!
Del resto quale altra visione potreste aspettarvi da gente che nei consessi poetici si fa chiamare Floristo Gnausonio?
Fortuna che non tutto in questo mondo va a finire in rima. Le Arcadie man mano si trasformano in Accademie Agrarie, e ciascun accademico impartisce lezioni sul modo migliore di piantare il granturco e di ottenerne rendite più consistenti; il guaio è che finisce per crederci davvero, al punto che si illude di migliorare il mondo cambiando il modo di lavorare la terra anziché quello di governare i cristiani. Il cardinale Leonardo, per esempio, che si vanta di una grande intelligenza, sul tema dei campi non riesce a trattenersi:
«Chi potrebbe negare l’ampliazione della nostra agricoltura?» va dicendo con aria di sfida. «Grano, frumentone, legumi, canapa, olio, bozzoli quando mai sono stati così copiosi come negli anni nostri, mediante l’assiduità de’ coltivatori e la previdenza del Principato?»
Ma allora, se i coltivatori sono assidui e il Principe è previdente, cos’è che non funziona in questo mondo in cui ciascuno deve stare al posto suo? Non bisogna cercare lontano per trovare una risposta: sono i soliti balordi a rovinare tutto; e a quelli indeprecabili di sempre ultimamente si aggiungono nuovi malcontenti, minutaglia di sbandati che calano in città perché la terra non riesce più a sfamarli. Per forza che non ci riesce: c’è bisogno di mettere al mondo tanti figli? Ci sono tanto bene i conventi! Ogni cosa va fatta con criterio, perché le bocche aumentano ma la terra rimane sempre quella. Tutti questi ragazzotti si lamentano che vivono male e scendono in città con la speranza che la manna gli venga giù dal cielo. E quando sono lì come faranno a guadagnarsi il pane, che non sanno fare niente? (continua…)
(Prefazione a La congiura Fornaciari, capitolo 8, segue dal capitolo 7, prosegue nel capitolo 9)
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