A Umberto Eco, scienziato della verità , principe della menzogna
di Giacomo Verri
Lo scorso 5 gennaio il semiologo alessandrino ha compiuto ottant’anni. “L’uomo che sa troppo†– per ripetere una scherzosa formula hitchcockiana utilizzata, qualche anno fa, per dare il titolo a una monografia su Eco curata da Sandro Montalto (Edizioni ETS, 2007) – , l’uomo che ha creato e coltivato discipline scelte, come la semiotica, che ha raffinatamente analizzato modelli politici e sociali, che ha teorizzato la cultura di massa e il postmoderno, che ha accompagnato la vita del Paese e del mondo con le sue ironiche e sottili chiose, che ha accumulato onori, premi e riconoscimenti, e che dunque dovrebbe sopravvivere schiacciato da nastri e fregi, pare invece ringiovanire. E non perché s’è tolta quella barba ottuagenaria con cui per decenni lo abbiamo riconosciuto, ma perché, direi, il suo spirito è sempre fresco, come deve essere quello di un buon maestro (già anni fa Enzo Biagi lo definì tale).
Umberto Eco è un uomo, costituzionalmente, ‘brillante’: si veda a questo proposito ciò che scrive Michele Cogo nella Fenomenologia di Umberto Eco (Baskerville editore, 2010). Brilla per il suo modo di pensare e per il suo modo di parlare, per la maniera di gesticolare e per la verve del racconto. E non solo brilla. Oscilla pure. Come il suo Pendolo di Foucault. La sua produzione, dai tempi della tesi di Laurea su San Tommaso (Edizioni di «Filosofia», 1956, Il problema estetico in san Tommaso, poi voltato, con perdita della ‘santità ’, in Il problema estetico in Tommaso d’Aquino, Bompiani, 1970), passando attraverso la creazione di indimenticabili romanzi, di ostici saggi teorici, di sardonici pastiches, fino all’ultima ‘Bustina di Minerva’, dondola di qua e di là inseguendo due poli di attrazione: quello della verità e quello della menzogna.
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