Prefazione de La congiura Fornaciari (capitolo 4, segue dal capitolo 3)
Crescevano i palazzi, più che altro, nella nuova ampliazione, appoggiati alla vecchia cortina e tutt’attorno al Duomo a formare un rettangolo di piazza. Pensa un po’: a chi era di fuori e faceva domanda di costruire a Sinigaglia per venirci ad abitare regalavano la terra, abbonavano le tasse per dieci anni e, se era di accertata nobiltà , lo aggregavano subito al Consiglio Generale – volete più niente? – a patto che la nuova costruzione fosse stata completata entro un termine di dieci anni.
Il primo a costruire nella parte nuova – quel palazzo a sinistra di chi guarda il Duomo – è stato il conte Domenico Pasquini, buon signore, gentile, peccato che inciaccia quando parla. Scusate, ma una volta che ha letto nel palazzo comunale una poesia fatta apposta da lui su Sinigaglia, i presenti si piegavano in due per non scoppiare a ridere per come la leggeva.
Oltr’oltre hanno poi costruito Giovanni Maria Mastai Ferretti, l’avvocato Giampaolo Monti, Domenico Brunori, Luzio Benedetti, tutti conti e signori, e accanto a loro il mastro muratore Nicola Pasquali; e poi ancora i conti di Carpegna, Vincenzo Arsilli (che cagnara quella volta che Antonelli non voleva che gli dessero il terreno gratis; ma aveva ragione, perché Arsilli mica era di fuori: doveva pagare!), qualcuno dei Merlini parenti del Legato di Urbino; quel morarabìto del marchese Grossi, l’architetto Ferroni, e i Franceschini, e i Vecchioni, e i Chiarissi, tutta gente sia nobile che ricca, oppure solo ricca; e poi i frati delle varie compagnie: i Gesuiti finché ci sono stati, i Serviti di San Martino, i Filippini e quelli di San Rocco, anche loro gran costruttori di chiese, di palazzi, di conventi. Ultimamente Giuseppe Castracani e Gentilina Honorati, sorella del nostro vescovo, arrivati da Cagli, hanno tirato su un palazzone con un grande ingresso e venticinque finestre, sul lato della piazza che guarda verso porta Colonna.
Così, dopo quarant’anni in cui questa città era stata un variato brulicare di mattoni, di carriole, di sensali e muratori, anche la seconda ampliazione si è andata a mano a mano completando. Cosa resta da fare a questo punto? Non so: quella terra che hanno avuto gli Antonelli dalla Comunità in cambio del tanto adoperarsi presso il Papa perché desse il consenso al programma dei lavori, lì ancora non ci hanno costruito, di modo che Piazza del Duomo risulta mancante dalla parte che digrada verso il fiume e su quel lato rimane scoperta: qualcosa ci dovranno costruire perché si abbia il sesto portico che lì era previsto; per non dire del settimo, che toccherebbe del Vescovo realizzare a chiusura del nuovo Episcopio; ma mi pare che quello ha poca voglia di metterci le mani e meno ancora i soldi; mi sa che dovremo aspettare un bel pezzetto per vederlo in piedi; e voi che venite dal futuro mi potete dire se ho indovinato. (continua…)
(Prefazione a La congiura Fornaciari, capitolo 4, segue dal capitolo 3, continua nel capitolo 5)Â
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