“Darke” di Rick Gekoski (Bompiani 2017, pp. 336, € 18,00)
di Alessandro Cartoni
A metà tra Herzog e Ignatius Rilley, con un riferimento esplicito a Roquentin e al Coniglio di Updike, l’anziano protagonista di “Darke”, romanzo di esordio di Rick Gekoski, ci porta nelle acque estreme dell’introspezione, dove galleggiano cinismo e nichilismo, ma anche intensa partecipazione umana.
Ex membro della giuria del Booker Prize e insegnante di letteratura della Warwick University, Rick Gekoski colpisce a 73 anni con un esordio lucido e destabilizzante.
Fermarsi all’irritabilità sociale del professor Darke, a volte fredda e snob, senza coglierne la sostanza umana è un po’ come perdersi un incontro importante. Più che l’odio e l’indignazione contro il proprio tempo, contro la musica pop, o i fast food, o i cani, o la moda casual, quello che inquieta di questo romanzo, vibratile e cupo persino nel titolo, è la profonda fenomenologia della perdita. Cosa accade quando si perde tutto, si chiede James Darke.
Non posso continuare così. Non posso continuare, punto. Lasciando scorrere i giorni morenti. Ricordando, pensando, giustificando. E mettendo insieme i pezzi di storie, facendo battute stupide, logiche, scatologiche. Per cosa? Nulla riesce ad attenuare il dolore di essere.
La malattia e la morte della moglie che occupano la parte centrale del romanzo sono eventi da cui scaturiscono una serie di scelte appunto estreme e ossessive che conducono il protagonista a murarsi letteralmente dentro la propria casa.
Nessuno si era preoccupato di avvisarmi che l’essere umano si era trasformato in qualcosa di atomico in maniera ripugnante, inconsapevole degli altri e indifferente al suo prossimo.
(… continua a leggere ‘Se la perdita diventa romanzo (a proposito di “Darke” di Rick Gekoski)’)







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