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Dai racconti di Fioravante Fornaroli

Dai racconti di Fioravante Fornaroli, la farina sull’acqua, l’imperatore sul pagliaio e altre storie

articolo già apparso su “L’Eco” di novembre

Fioravante Fornaroli è un distinto signore senigalliese la cui esistenza ha attraversato buona parte del ‘900. Attento ed acuto osservatore dei piccoli fatti e delle grandi storie con i quali si è incrociato nella sua esistenza, ne ha conservato una lucida e dettagliata memoria e questo, unito ad una certa propensione al racconto, ne farebbe l’ideale compagno di viaggio in uno di quegli interminabili spostamenti in treno, tipo Milano – Reggio Calabria. Anche perché il Fornaroli non è un elegante novellatore, ma un esemplare tipico della trasmissione orale di fatti veramente occorsi. Quelle che più ci hanno interessato sono le piccole storie cittadine, che sono le più facili a cancellarsi dal ricordo comune e quindi altamente deperibili e destinate a scomparire dalla tessitura di una storia della collettività.

Tra queste, affascinante, anche solo se ci si provi ad elaborarne un dipinto mentale, è la rievocazione dei carichi di sacchi di farina trasportati nel porto-canale, secondo un percorso in risalita che ripiegava lungo l’attuale via Samo (ai tempi una via d’acqua) per terminare in uno squero o piccola darsena che era situata grosso modo sulla destra dell’attuale via Carducci, prima della porta Lambertina, e che arrivava fino a via Narente. La fisionomia della zona fu alterata durante i lavori di ricostruzione conseguiti ai violenti bombardamenti navali da cui Senigallia fu colpita il 24 e 25 luglio 1915 da parte della flotta austriaca nemica.
Il perché di questo viaggio della farina sull’acqua è presto spiegato. Sullo squero si affacciava una attività industriale, il pastificio Chiostergi, nel quale la farina veniva elaborata nei vari tipi di pasta. Il Fondaco Alimentare Chiostergi, riferisce G. Monti Guarnieri, “nel 1853 iniziò la sua attività con panificio e pastificio: terrà per molti anni il primato regionale”. Alcuni hanno memoria delle lunghe filiere metalliche dove venivano ripiegati e messi ad essiccare gli spaghetti, che così assumevano quella forma ripiegata ad U rovesciata, oggi conservata da qualche pastificio di élite.

Un racconto che ci porta in campi storico-artistici è quello relativo all’imperatore sul pagliaio.

L’imperatore è il grande Traiano (53-117 d. C.). Oltre che sulle sue campagne militari (con lui l’Impero Romano raggiunse la massima estensione), la sua fama nei secoli poggia sul suo senso di giustizia e sul buon governo, basato su una intelligente e fattiva amministrazione. Promosse, tra l’altro, l’ampliamento del porto di Ancona con la costruzione di un molo, poi ornato in segno di gratitudine da un arco (Arco di Traiano), tuttora esistente. La sua fama di uomo buono e giusto indusse Dante a collocarlo nel Paradiso: secondo una leggenda Traiano sarebbe resuscitato per pochi minuti per le preghiere del Papa Gregorio Magno, che così poté impartirgli il Battesimo.

Non è leggenda ma realtà storica che nel 1841, coltivando il podere sito presso “Le Muracce” in quel di Ostra Vetere, i contadini Brunetti trassero alla luce una statua marmorea alta due metri e databile al Secondo secolo dopo Cristo. La statua, anziché restare a dare lustro e soprattutto a fornire chiarimenti sulla antica città che sorgeva presso Ostra Vetere, è finita in un museo di Ginevra in seguito ad una delle solite, tortuose trafile. Il desiderio di tramutare in denaro il reperto, il non comprendere che con la rimozione si strappa al luogo del ritrovamento un pezzo e una giustificazione della sua storia, una qualche superficialità dei burocrati, ci hanno legalmente privati di una testimonianza del nostro passato. La statua, appena recuperata, fu appoggiata ad un pagliaio dei coloni frontalmente, perché la visione delle parti intime non offendesse il pudore dei passanti: l’imperatore, infatti, raffigurato in posizione eroica, mostrava tutte le sue nudità. Non si sa chi e quando si accorse che la statua era priva del suo membro virile, che peraltro poteva mancare già all’atto del ritrovamento, come ci hanno insegnato le visite ai musei di arte antica.

Statua dell'imperatore Traiano

Una vulgata riferita dal Fioravanti fornisce una versione del fatto che è apparentemente più pruriginosa, ma che in realtà si allinea con le ancestrali e ubiquitarie tradizioni che vedono in quella determinata parte il simbolo della potenza generatrice, attribuendole anche il valore di talismano genericamente porta-fortuna. È possibile che il “clarinetto”, eufemismo con il quale il Fornaroli indicò la parte qualche decennio fa su “La Voce Misena”, non andò smarrito: fu ritrovato sulla statua o in prossimità di essa e gelosamente conservato e tramandato da famiglie locali. Queste, seppure non documentate del tutto sul significato dei simboli, collegandolo con l’amore di coppia gli avrebbero attribuito la proprietà di far trovare marito alle figlie di casa. Il luogo dove fu dissotterrata la statua, la zona del pagliaio e i terreni limitrofi qualche decennio fa furono setacciati nel tentativo di recuperare eventuali frammenti della parte: del “clarinetto” nessuno trovò mai traccia.

Risorse in rete:
Storia della statua di Traiano sul sito del Comune di Ostra Vetere
Marco Ulpio Nerva Traiano (fonte: Wikpedia)

2 Risposte a “Dai racconti di Fioravante Fornaroli”


  1. 1 aldo IACOBINI Apr 30th, 2018 at 12:17 am

    Fornaroli è il figlio dell’inventore della prima centrale telefonica automatica? Grazie.

  2. 2 Antonio Maddamma Ott 29th, 2018 at 7:38 pm

    Sì, Fioravante è il figlio di Arnaldo Giuseppe Fornaroli, cittadino copparese, che nel 1913 realizzò a Jesi la prima centrale telefonica automatica d’Italia.

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