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Casette minime…

Prefazione de La congiura Fornaciari (capitolo 3, segue dal capitolo 2)

Casa mia – la casa dove abito, intendo dire – si trova nella Strada del Montone, vicino a dove c’è la cereria. Non si sa quanto abbiamo aspettato per averla; perché l’ampliazione prevedeva anche “casette minime” e non solo i palazzotti dei signori. Ma a questo quartieruccio popolare, costruito dai Frati Minori della Maddalena a ridosso della nuova cortina, non hanno trovato neanche un nome; così ormai dicono che stiamo “dietr’ al dom’”. Lo dicono da quando sul davanti il vescovo Honorati si è messo a costruire il duomo nuovo: o, più precisamente, a ingrandire la chiesa di San Luigi che era appartenuta ai Gesuiti. Soppresso l’ordine, sapete, il Vescovo si è preso tutto lui; e nella chiesa, per quanto non abbia la facciata, entro quest’anno si dirà la messa; in quanto al Collegio che gli stava accanto, lo sta trasformando in Episcopio.

L’ampliazione, bisogna riconoscerlo, è stata una gran cosa. La nostra nobiltà si è fatta in quattro per arrivare questi risultati; e, veramente, a guardare la città com’è cresciuta ci sarebbe da dar loro ragione. Sinigaglia si è arricchita di porte, di strade e di portici stupendi; in questo modo hanno trovato spazio quantità di merci e un numero crescente di mercanti. I lavori del porto sono venuti bene, se non proprio benissimo, ed è un piacere per i nostri signoroni di vedere il fiume, che prima arrancava da far pena fra rive devianti, scorrere tutto tronfio verso il mare nel suo nuovo letto. Io dico che se a un certo momento ritornasse il padre di quel gran poeta, – Gaspare Goethe avete detto che si chiama – che passando a Sinigaglia non l’aveva stimata quasi niente, si ricrederebbe. Come aveva detto? “Non mica bella, al di fuori del prospetto, talché non potrei immaginare dove si faccia la famosa fiera, giacché la piazza è piccola, le strade strette e oscure”. Adesso la città è un’altra cosa. Piacerebbe anche a lui.

Si capisce, hanno dovuto abbattere una fila di casette nella zona del porto per far spazio alla strada, e tutti si sono lamentati gli abitanti perché ancora non c’erano le nuove; sono andati a ripararsi dai parenti, in via provvisoria; ma stare a casa d’altri, voi capite, non è proprio come stare a casa propria. Anche il Parroco gli stava d’accordo, per quanto coi suoi soliti argomenti: “Stanno troppo stretti, tutti insieme in una sola stanza, troppa promiscuità, i bambini vedono…”

Le case poi sono spuntate fuori, ma la gente lo stesso si è lagnata che non erano comode quanto gliele avevano promesse. Del resto, riguardo all’edilizia popolare, l’ampliazione si era ispirata a un programma più modesto di quello dei palazzi signorili. “Si dovrà evitare”, aveva raccomandato il Legato di allora, cardinale Colonna Branciforti al conte abate Angelo Antonelli che aveva l’incarico di assegnare i lotti edificabili, “la costruzione di piccoli e sordidi edifici tramezzo ai splendidi, potendo assegnare ai medesimi, che pure sono necessari, quei siti più remoti che siano meno in vista”.

Queste cose le ho sentite dai signori presso i quali ho servizio, e per favore non chiedetemi quali. Ma non c’era bisogno di sentire da loro che le nostre abitazioni sono piccole e sordide: lo vedo da sola. Sono adatte alla nostra condizione. Che vuoi fare? Lo sa anche la donna del borgo, seduta sulla soglia per godersi il fresco della sera con le sue vicine e giocare a scopone sulla tavola dei panni, e lo ricorda ripetendo la vecchia litania della rassegnazione: “Salta chi zompa… ” con le altre che le fanno il coro: “…e chi sta mal’ fiotta!”. (continua…)

(Prefazione a La congiura Fornaciari, capitolo 3, segue dal capitolo 2, continua nel capitolo 4)

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