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Fame di letteratura

Fame di letteratura

di Giacomo Verri

Dieci anni fa, Claudio Magris, stilando una risposta alla domanda: È pensabile il romanzo senza il mondo moderno?, costruiva l’intervento (pubblicato come saggio di chiusura al primo dei cinque volumi che Einaudi, per la cura di Franco Moretti, ha dedicati a Il romanzo) con un consuntivo sull’evoluzione di questo genere letterario fino ai giorni nostri, sostenendo che, se esso è il bel fiore nato dallo sgretolamento della civiltà agraria e dell’ordine feudale; se esso, rappresentato dal suo archetipo, ovvero il Don Chisciotte, muove i primi passi per verificare la fine dell’epos; se è vero, ancora, che da questa verifica ne viene una letteratura delusa e disincantata che ha perduto la condizione ‘originariamente poetica’ del mondo, “nella quale” – dice sempre Magris, parafrasando Hegel – “i valori, le norme etiche, l’unità della vita non vengono sentiti dall’individuo come qualcosa di imposto dall’esterno, ma come fusi e calati nella sua disposizione d’animo”; allora il romanzo, specchio della modernità, ha tentato di dare una risposta alla mancanza di un apparato definito di valori, prima col romanzo borghese e poi – lo dico molto semplicisticamente –  con la disgregazione di esso. La risposta offerta dal romanzo può essere stata incompleta e provvisoria, può aver messo sotto al naso dell’uomo una verità dura e crudele, ma una verità sempre al passo coi tempi. E adesso, in punta al XXI secolo? Leggiamo cosa diceva Magris nel 2001: “Il romanzo – la letteratura in generale – è stata questa voce del moderno, la sua poesia, il suo tribunale e la sua contestazione. Ora tutto questo sembra finito; un karaoke a diversi livelli ha soppiantato ogni utopia e ogni rivoluzione e l’uomo stesso, come Nietzsche aveva previsto, sta radicalmente cambiando. […] Per ora sembra che [il romanzo] rilutti a prendere atto di tale capovolgimento e indietreggi rispetto alle grandi sperimentazioni narrative del passato prossimo. […] La maggior parte dei romanzi assomigliano a telefoni a cornetta. In questa arretratezza o regressione c’è una resa alla ‘sterile potenza online casino australia dell’esistente in quanto tale’, come diceva Lukács negli appunti al mai finito libro su Dostoevskij, nelle opere del quale – a suo avviso assolutamente non romanzi – egli vedeva e sperava il sorgere di un nuovo mondo riscattato dall’iniquità […]. In luogo di questo nuovo epos utopico, […]sembra trionfare un supermarket politico-sociale, di cui i romanzi – spesso remake della tradizione – sono prodotti secondari, ma apprezzati e smerciabili. Forse il romanzo finisce in un’involontaria autoparodia”.

Il romanzo di oggi, per dire la realtà in cui prende forma, vuole e deve essere autoparodico. Ovviamente non in maniera involontaria. Non credo assolutamente alla Fame di realtà professata da David Shields (Fazi editore, 2010), che ci vuole nebulosamente prospettare un mondo post-narrativo,  senza trama, ove “le energie creative più convincenti sembrano quelle orientate verso la non-fiction”, dove “biografia e autobiografia sono la linfa vitale dell’arte”, ove viene porto su una guantiera d’argento l’invito a fare letteratura utilizzando il collage (cosa già ampiamente sperimentata dalle avanguardie). Può andare tutto, ma le avanguardie e le neoavanguardie hanno miracolosamente segnato un’epoca che ora non è più. Quello in cui viviamo, in questo primo scorcio di XXI secolo, è un mondo fittamente narrativo, in cui tutto ci viene detto come fosse una storiella, comprese le previsioni del tempo. La trama, la narrazione è alla base del potere: infatti una trama convincente seduce il lettore, come seduce l’elettore. Viviamo di storie, siamo circondati da storie. I media ci sommergono di storie. Come contrastare questa narrazione messa avanti dai mezzi di comunicazione di massa? Con un’altra narrazione, naturalmente! Non si può rispondere in greco a uno che ti si rivolge in giapponese. E questa narrazione deve essere autoparodica, deve giocare sui meccanismi della narrazione tradizionale, deve metterli in scena in maniera artificiale, mostrarne i funzionamenti; come Pirandello portava in scena i suoi personaggi alla ricerca dell’autore, mostrando al pubblico i dispositivi che di solito si cerca di tener ben nascosti, così il romanzo, oggi, deve porre sotto agli occhi del lettore gli artifici della narrazione. Ha ragione Schields quando dice che “la trama è una tecnica per mettere in scena e raccontare la realtà, ma quando è troppo smaccatamente stereotipa, come accade spesso, la realtà viene percepita come falsa”; ha ragione perché la stereotipia ‘innocente’ è noiosa. La stereotipia va messa in atto per rifletterci sopra, per trarne delle idee nuove. Proviamo a legare la questione della narrazione a quella dell’esperienza del reale e a quella del ricordo storico. Mi rifaccio qui ai problemi posti da Antonio Scurati quando ragiona sulla Letteratura dell’inesperienza (Bompiani, 2006) sostenendo che “l’inesperienza è la con­dizione trascendentale dell’esperienza attuale”. Se l’uomo di oggi (nella società del benessere) non sa più com’è vivere in guerra, soffrire la fame e il freddo, patire le privazioni di una realtà grama, anche la letteratura ‘soffrirà’ di questa inesperienza, risultandone, forse, più povera. O, almeno, ci si troverà di fronte a uno scacco tra realtà e rappresentazione. Ciò è tanto più vero quando il reale, che la letteratura vuole rappresentare, è un reale lontano dal presente. Come fare? Io credo che una risposta stia tutta nella letteratura, in una letteratura di secondo grado che, presi i dati delle narrazioni passate, li prenda e li riutilizzi, li riscriva, faccia loro, se necessario, violenza ( un esempio eccellente è quello, come è risaputo, dei romanzi di Umberto Eco); è fondamentale però che il lettore si accorga di questo riutilizzo, che è anche un’autoparodia, perché in questo modo è invitato a vedere i meccanismi della narrazione, a riflettere sui modi in cui una storia viene costruita, a partecipare ‘attivamente’ a ciò che sta leggendo: riceve cioè un trauma semantico che lo obbliga a riconsiderare, a smontare e ad analizzare, anche le altre narrazioni che gli arrivano (quelle dei media, ad esempio). È una letteratura che fatica e che combatte con la realtà Ma è una letteratura fiera di essere tale.

2 Risposte a “Fame di letteratura”


  1. 1 ginodicostanzo Apr 10th, 2011 at 12:35 am

    Davvero un bell’articolo, che ho letto come prolungamento di uno scambio avuto con l’autore su “Poetarum Silva”.

  2. 2 Giacomo Verri Apr 10th, 2011 at 10:01 pm

    Grazie Gino. Alla prossima!

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