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Leggendo “Morfina” di Michail Bulgakov

“Morfina”, di Michail Bulgakov (prima ed. 1927 – ed. italiana Passigli 1999, trad. S. Sichel, pp. 64, € 7,50)

di Silvia Argentati

Bello e terribile.

Andateci piano con i cristalli bianchi, solubili in venticinque parti d’acqua. Io sono ricorso troppe volte a loro, e quelli mi hanno rovinato.

Ebbene sì, Bulgakov era un morfinomane.

O per lo meno lo è stato per un periodo della sua vita. Quando lo scoprii, durante i miei studi universitari, ne rimasi sbalordita, anche perché la genesi del lungo travaglio è legata ad un particolare episodio della sua vita.

Nel 1917, mentre esercitava la professione di medico, Bulgakov succhiò, attraverso una cannula, le membrane difteriche dalla gola di un bambino malato e si ammalò; per lenire i dolori si fece fare iniezioni di morfina e ne rimase stregato. Lo splendido racconto “Morfina”, scritto nel 1927, è il riflesso di questa esperienza da tossicomane.

Il ritmo del racconto è incalzante, quasi febbrile. Si tratta del diario, o meglio “l’anamnesi di una malattia”, del medico suicida Sergei Poljakov. Il fatto di essere dottore ha permesso a Bulgakov di descrivere con precisione scientifica gli effetti dell’uso e dell’abuso del “demone in flacone”. All’inizio del diario c’è, da parte del protagonista, compiacimento ed entusiasmo:

non posso esimermi dall’elogiare chi per la prima volta ha estratto morfina dai fiori di papavero. È un autentico benefattore dell’umanità.

Con il passare dei mesi il giovane medico viene fagocitato in un vortice agghiacciante fatto di brividi, rabbia, menzogne, visioni, paura e dolore fino ad arrivare alla consapevolezza di essersi avvelenato.

Non è più essere umano. È come spento. È un cadavere ambulante che soffre e si tormenta. Non desidera nient’altro, non pensa a nient’altro che non sia la morfina.

Da parte dello scrittore Michail Bulgakov non c’è giudizio morale ma solo la limpida e accorata descrizione di un viaggio negli abissi da cui il protagonista non riesce a risorgere. Il protagonista infatti non riesce a separarsi dall’idolo di cristallo solubile. La vita di Sergei Poljakov è in frantumi, così come i pensieri e le frasi che annota sul diario; un diario da cui strappa le pagine fino a quando, completamente annientato, deciderà di strappare esso stesso dalla vita.

Il mondo non mi serve, come, del resto, io non servo a lui.

 

Ringraziamo per la corrispondenza l’amica Silvia Argentati.

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