Milk and honey to Santiago
di Sara Moneta Caglio
XXXIII.
Santiago
Quando leggi il cartello stradale con questo nome, ti sembra di toccare il cielo con un dito. Sei così orgoglioso di quello che hai fatto, dell’impresa che sei riuscito a portare a termine, che tutto il futuro non ti appare più come un dilemma, come un viaggio con ostacoli da superare, ma come una piacevole passeggiata all’imbrunire, quando tranquillamente puoi rallentare i ritmi del giorno, puoi godere del riposo della sera, che arriva ad alleggerire i tuoi passi, i tuoi sforzi.
La sensazione strana che invadeva ogni mio pensiero era che adesso non sapevo dove andare, dove dirigermi, dove camminare.
Ero arrivata.
Non dovevo più alzarmi per partire. Non avevo più un traguardo da raggiungere. L’avevo raggiunto e mi rendevo conto che era stata questione di un attimo.
Dopo infinito peregrinare, un attimo ed ero dentro. Dentro la città , dentro la mia vita, dentro lo scopo, dentro il fine. Nella preghiera, nel ringraziamento, nella commozione, nella gioia sconfinata. Quella gioia era ricomparsa ad annegare il mio cuore che nuotava all’impazzata da una riva all’altra di quell’oceano nuovo da scoprire, ma che non riusciva a stare a galla per l’accelerazione dei battiti, per tutta la frenesia del momento.
Sì, la gioia era tornata e Gianmaria stava dormendo, dormiva e io vivevo, respiravo.
Ero arrivata. Con i miei 800 km addosso, incollati a ogni centimetro della mia pelle, del mio animo.
800 km per arrivare alla verità , quella che avevo riconosciuto e mai più avrei ingannato, tradito. Volevo un mondo sincero, bello come quello a cui mi ero abituata, durante questo mese in cui avevo abbandonato la civiltà .
Vivevo in un’altra dimensione, un luogo dove era possibile, per chi lo desiderava, ripulirsi da tutto il fango di cui siamo rivestiti, in cui siamo impantanati.
Tutte le strade erano vuote, vuote fino ad un momento, quello in cui mi ritrovai confusa in un fiume di gente sorridente che si affrettava verso la messa solenne dell’arrivo. Mi persi a osservare i volti, tutti diversi, ma così uguali, uniti in un unico spirito. Arrivavano da lontano tutte quelle persone, da tutti gli angoli del mondo per rifugiarsi in quell’ angolo di paradiso che proteggeva chiunque lo raggiungeva, chiunque ci credeva.
Lo trovai là , nella chiesa, proprio come l’avevo trovato il primo giorno, proprio dove l’avevo trovato il primo giorno. Appena entrai si girò e mi accarezzò con lo sguardo, sentii un calore che bruciava. Lui diventò offuscato, senza contorni, come in un sogno, e per un attimo ebbi paura di perderlo, paura che scomparisse, che non fosse mai esistito. Strofinai gli occhi e tornai a vedere. Ora sapevo che nulla mi avrebbe impedito di amarlo, non ci sarebbero state barriere o, se ci fossero state, le avremmo abbattute insieme. Il semplice pensiero di perderlo non mi lasciava respirare. Con passo deciso attraversai la navata e mi ritrovai appesa tra le sue braccia, stremata. Avevo bisogno del suo giovane sostegno, tutta quella strada e le notti senza sonno cominciarono davvero a farsi sentire, mi piombarono addosso come un temporale inaspettato. Ma ero così leggera, così spensierata, così felice. Sapevo quello che dovevo fare e non avevo piu paura di farlo. Mi resi conto che nessuno mi avrebbe mai fatto cambiare idea, quella era Santiago e ciò che accadeva lì era sacro e giusto.
Gianmaria, una volta risvegliato, se ne andò. Capii che non era pronto per quel luogo che lo stava rimandando verso casa. Forse un giorno sarebbe stato capace davvero di arrivare.
Poi, finalmente, riuscii a prendere sonno e a sognare, sognare come ormai da tanto tempo non riuscivo più a fare. Dormivo perchè avevo ottenuto e conquistato la pace, l’amore.
Dormivo perché potevo stare tranquilla: l’amore dormiva vicino a me, la pace mi teneva la mano.
Samuel. Quelle miglia e quell’ideale per cui valeva la pena tanta fatica non finivano lì, lì dove ognuno crede sia la fine. Lo crede finché non scopre che c’è un posto più lontano dove spingersi, perchè c’è sempre un altro luogo, un’altra meta.
Dopo il sonno c’era Finisterre. Un altro cammino, ma diverso, consapevole, senza la fatica della mente. Rimaneva solo quella del corpo che ormai non era un problema, abituato come era a scavalcare e saltare ogni ostacolo.
A Finisterre si doveva arrivare perché lì finiva un mondo e, proprio lì, cominciava una nuova terra.
C’erano rocce arse dal vento da cui si tuffava come da un trampolino nel mare. In un oceano che avevi sempre pensato freddo, un oceano di correnti violente, di non ritorni, che avevi sempre temuto, ma a Finisterre ti tuffi e basta, non hai nessuno che ti trattenga, nessuna costrizione, nessuna condizione, nessuna voce a parte la tua. Era tanto che la tua voce taceva e non ti orientava, ma ora tornava a guidarti e parlarti.
Sì, a Finisterre ti tuffi, con un salto acrobatico, e nuoti. Nuoti, nuoti, nuoti, senza voltarti indietro, senza il peso di zavorre o catene. Sei libero e voli, voli e nuoti.
Davanti a te il futuro, l’Inghilterra, il nord.
La vita nuova che verrà , quella che ti sei conquistato, quella che ti sei meritato.
Pensi che faccia freddo e, invece trovi solo calore e stupore. Lo stupore di quanto sia facile, una volta che decidi di perdere l’equilibrio e buttarti, ritrovarne uno, nuovo, più stabile, duraturo.
Santiago finisce in un momento, deve finire, perché attende nuove comparse, nuovi attori.
Santiago ti appartiene solo per un giorno, due, tre.
Ma poi devi avere il coraggio di volere la tua vita che, certo, può assomigliare a Santiago, può essere ancora Santiago, ovunque tu decida di fermarti.
(Milk and honey to Santiago, capitolo XXIII, continua nel capitolo XXIV)
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