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Milk and honey to Santiago / XI

Milk and honey to Santiago

di Sara Moneta Caglio

 

XI.

Di spalle, lui…

 

Era sera quando l’incontrai la prima volta. Avevo appena cenato ed ero stremata per le continue salite e discese del cammino. Le mie amiche avevano deciso di rimanere sedute. All’improvviso mi alzai. Volevo vedere Roncisvalle e forse qualcos’altro che non sapevo definire. Roncisvalle era tutta in quelle poche case antiche incastonate sui pendii di un passo di montagna. Alla luce debole della sera. Un tramonto riparatore e annunciatore di riposo. Un silenzio che protegge i pensieri. Un vento che orienta i passi. Una frescura che disseta la mente. Ero assorta nel mio viaggio quando entrai in chiesa. Era già iniziata la funzione. Una luce soffusa accoglieva i pellegrini per la prima benedizione solenne del cammino. Non so perchè ma invece che mettermi in disparte mi accostai all’altare. Poi qualcuno mi bloccò. Mi fermai ad un banco. Quello dove c’era lui. Non si scompose quando sono giunsi accanto al suo viso. Eravamo seduti alle estremità di una candela accesa. Ma non sapevamo da quale parte bruciasse, da quale parte si consumasse. Arrivarono altre persone. La candela cominciava ad accorciarsi e noi ad avvicinarci per fare spazio a chi voleva unirci, sedendoci accanto. Fino a quel momento non ci eravamo nemmeno sfiorati, né guardati. Poi gli sorrisi per salutarlo con quell’amore che apparteneva a tutte le persone di quel viaggio.
Mi voltai di nuovo a guardarlo, mentre uscivo dalla chiesa, mentre andavo a prendermi la notte. Forse non se ne accorse, ma il mio sguardo per un momento fu verso di lui che stava in piedi accanto alla porta, senza andarsene.

In quello stesso momento un’altra persona si era affacciata alla mia mente.
Volevo capire se in lui potevo trovare quell’amore in cui volevo credere ancora.
Anche se dentro di me, nella parte di me che non avevo ancora scoperto, già sapevo.
Ero negli strascichi di una pena d’amore e mi ero fatta scegliere; mi ero esposta e concessa a quello che, se non avessi  frenato, poteva essere il mio sbaglio piu grande.

Quando soffri, non hai la libertà e la lucidità della scelta. Non sei tu ad agire, ma il tuo alter ego, così bravo e preparato a ingannarti da riuscire a portarti fuori rotta, senza essere capace a volte di farti tornare.
Proprio non capivo come il mio cuore potesse aver sentito un sussulto, quella sera. In chiesa. Per quel ragazzo sconosciuto.
Non sapevo ancora che il cammino ti dà senza togliere. E quando toglie esclude semplicemente tutto ciò che inquina la tua essenza.
Non sapevo che avrei seminato sassi e raccolto boccioli di fiori.
Non volevo sapere. Vivevo ancora delle mie certezze.
Ma quel respiro, più prolungato di tutti gli altri, divenuto quasi un sospiro, dopo averlo incontrato, doveva avvisarmi che qualcuno sarebbe venuto a bussare alla mia porta. E che qualcosa sarebbe cambiato.

Avevo voluto credere a Gianmaria, quando, a Milano, mi aveva raccontato la sua storia. Credo sempre a tutto ciò che mi si dice e forse l’avventura che avevo deciso di vivere con lui, che diceva di amarmi, nasceva dal desiderio di volergli regalare il sorriso che aveva perso.
Avevo la presunzione, o forse solo la speranza, di fargli ritrovare la pace. Lui che mi aveva fatto soffrire con il racconto di tutte le ingiustizie in cui si era imbattuto.
“Ero in Zambia e pensavo di conquistare il mondo, di sfidare la natura, di volare sul fiume; nulla mi spaventava”.  Finchè un giorno non trovò più la libertà, ma solo sbarre di ferro intorno a lui.
“Mentre fuori la vita continuava a scorrere selvaggia lungo il fiume Zambesi” raccontava “io, ingenuo e troppo poco attento alla disonestà degli altri, finivo in carcere, trattato come uno dei peggiori criminali”.
Mi disse di aver commesso un’ingenuità. Non un errore, ma uno sbaglio, una disattenzione.
Si era caricato di foglie di coca per sostenere i ritmi della traversata. Quelle foglie che erano state la causa di un grande fraintendimento, divenuto poi caso politico, razziale, culturale.
Quella sua storia mi aveva commosso, perchè lo vedevo intenzionato a tornare a respirare quell’ossigeno che gli era mancato nei lunghi mesi trascorsi in prigione.

“Ho scoperto che i popoli non sono tutti in pace tra loro. C’è tanta ferocia negli uomini verso altri uomini. Prima era qualcosa che mi toccava solo da lontano, prima di provarla sulla mia pelle”.
Questa ferocia la conosciamo, ma non vorremmo vederla mai, vorremmo annientarla e facciamo finta che non esista per vivere meno spaventati. Lì, sul cammino, un mondo così diverso da quello a cui siamo abituati sembra non esistere. Sembra che le persone facciamo questo percorso per divulgare pace, amore, comprensione, comunione.
Io Gianmaria avevo deciso di aiutarlo.
Lui faceva dipendere tutto da me; a me affidava tutti i suoi progetti. Non cercava dentro di sé ma addosso al mio mondo che voleva fare suo. Mi aveva confuso. All’inizio pensavo potesse essere una cosa bella. Ma l’amore, in realtà, lo trovi soltanto amando anche te stesso, senza nasconderti dietro vestiti che non ti appartengono, che non ti coprono.
Un giorno mi disse che aveva comprato un biglietto aereo anche lui per Santiago, perchè voleva raggiungermi alla fine del mio cammino e condividere del tempo con me. L’aveva preso senza dirmelo.
Gli avevo detto che partivo per capire. Perchè avevo bisogno di tempo per chiarire il sentiero della mia vita.
Ero arrabbiata con lui per quel gesto d’invadenza nei miei confronti, ma poi alla fine lo scusai, lo giustificai, ne diedi addirittura una spiegazione. Sarebbe venuto a prendermi. Contro la mia volontà, ma con il mio consenso. In nome di un amore ingannevole.

(Milk and Honey to Santiago, capitolo XI, continua nel capitolo XII)

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