E Papa Pio IX rivide la sua Senigallia
di Alessandro Casavola
(articolo già pubblicato su “Marche Domani”, 29 settembre 2000)
Un prete può tornare al suo paese per rivederlo, un vescovo pure, un Papa difficilmente. Eppure Pio IX, nel 1857, ad undici anni dalla incoronazione una rimpatriata la fece in Senigallia. Si trattò, veramente, di una sosta di due giorni e mezzo di un lungo viaggio, che aveva un movente più politico che pastorale. Verificare le “maldicenze†di Cavour, al Congresso di Parigi, l’anno prima, sulle condizioni delle sue popolazioni inquiete, misere anelanti alla libertà . Le tappe precedenti erano state Perugia, Foligno, Camerino, Fermo, Loreto, Ancona; le successive sarebbero state Pesaro e le città della Romagna e poi Bologna, che lo preoccupava non poco per la presenza di uomini aperti alle riforme. Il 28 maggio Senigallia gli fece festa gioendo nel rivederlo per niente invecchiato, nonostante i suoi 65 anni, grazie alla vivacità e al sorriso che avevano i suoi occhi. I pescatori tentarono di sciogliere i cavalli della carrozza, per trascinarla con le loro braccia, come si era fatto a Loreto. I suoi coloni gli parlarono con semplicità sul sagrato della chiesa della Maddalena, dove aveva celebrato una messa in suffragio dei suoi genitori. Una marea di gente con il naso all’insù o in ginocchio lo guardò affacciarsi da un balcone su piazza Duomo. Il Papa si emozionò, come gli capitava dinanzi alle folle oranti o alle dimostrazioni popolari, e non seppe dire che “cari fratelli, miei concittadiniâ€. Senigallia meritava tanta emozione? Senigallia lo aveva addolorato per gli eccidi del 1849, “la città che doveva restargli più fedeleâ€, Senigallia, lo aveva angosciato col difficile dilemma se credere o non credere alla innocenza di Girolamo Simoncelli. Il colonnello della guardia nazionale che si diceva implicato, ma non da tutti, in quegli eccidi. Probabilmente la città della sua giovinezza, dei suoi genitori scomparsi, restava nel suo cuore, nonostante tutto. Certo è che qui volle vivere qualche momento di privacy scegliendo, per la sosta, la casa dei suoi fratelli e non il palazzo comunale. “Verrò a Sinigaglia – aveva scritto al fratello Gabriele –; il Municipio non faccia spese…alloggerei in casa…le spese che fate per ripulire e per mettere qualche mobile vi saranno rimborsateâ€. La casa doveva offrire una decorosa accoglienza al suo seguito, che annoverava prelati di primo e secondo ordine, guardie nobili, il principe Massimo direttore generale delle Poste dello Stato, il medico, i camerieri. Mandò dei segretari per verificare. Personalmente si accontentava di poco, ma non poteva imporre sacrifici alla Corte. A Roma aveva ridotto il numero dei cavalli nelle scuderie vaticane, ma non più di tanto. Di buon grado aveva suggerito economie alla sua mensa. Simpaticamente diceva che se da Vescovo si era mantenuto con un ducato, da Cardinale con un ducato e mezzo, da Papa avrebbe potuto farcela con due ducati. Cosa fece a Senigallia? Immaginiamo quello che non è registrato. Probabilmente si scrollò la stanchezza del viaggio con un bagno. Il bagno odoroso e il cambio frequente del vestiario furono abitudini che non vennero mai meno. Mangiò piatti di sapori locali e fiutò tabacco. Una tabacchiera, con effige, è nella casa museo. Certamente trovò un po’ di tempo per fare una passeggiata alla marina: l’antico richiamo del mare! Senigallia, che i contemporanei definivano “gaia, ben costruttaâ€, l’avrebbe percorsa a piedi ogni giorno, con poco seguito. Come del resto faceva a Roma, quando andava al Pincio o al centro. Parlò con gli “anziani†della Municipalità e probabilmente accennò al problema della Fiera franca: considerarla l’unica risorsa era rischioso. Al fratello del 1853 aveva, infatti, scritto: “Sinigaglia ha voluto poggiare la sua esistenza sopra una risorsa che fugge e fuggirà sempre di piùâ€. Modernamente pensava ad iniziative industriali, anche piccole, per un impiego di mano d’opera più numeroso e per più giorni l’anno. Ottemperando ai gesti ufficiali del viaggio apostolico visitò l’Ospedale della Misericordia, attiguo alla chiesa della Maddalena, sempre attento a chi soffre versando nell’indigenza. Osservò il porto-canale decidendone subito il restauro. Al momento del congedo donò alla chiesa madre un busto d’argento raffigurante Paolino, vescovo protettore della città . Né poteva, poi, mancare prima della partenza la cerimonia delle onorificenze, che andarono in copia ai fratelli: Giuseppe, gonfaloniere, ricevette la Gran Croce dell’Ordine Piano, gli altri fratelli la Commenda, così pure il prediletto nipote Luigi. Il conferimento del titolo di Cameriere segreto di cappa e spada al conte Arsilli di Senigallia, un estraneo alla famiglia, dissolse negli astanti l’impressione di gratificazioni nepotistiche. Pio IX non aveva la stoffa del Pontefice nepotista, perciò dissuase i parenti non solo dall’abitare a Roma, ma anche dal restare troppo a lungo in Vaticano. Lo consentì solo al nipote Luigi, che ebbe presso di sé in esilio a Gaeta nel 1849, e in Vaticano per incarichi di governo, a tempo. Non fece donazioni, se non alla moglie del nipote, Teresa, dei principi romani Del Drago, quando si accorse che per il suo carattere bisbetico non avrebbe potuto abitare con gli altri parenti nel palazzetto di Senigallia. Presso il santuario delle Grazie, fuori città , allora sorgeva una villa Mastai passata successivamente ai Bellegarde. Dai matrimoni delle sorelle, una con un certo conte Carletti di Arcevia, un’altra addirittura con un cavaliere, Benedetto Giraldi di Senigallia, possiamo dedurre che l’imparentamento non alzò il loro lignaggio, che restò quello di una modesta nobiltà provinciale. Lasciò, invece, segni di benevolenza alla città da cui si era dovuto allontanare per i voleri di Dio. Come lo Stabilimento Pio per i cronici e le fanciulle derelitte; il Ginnasio Pio perché la cultura e non solo la devozione fossero insegnate ai giovani; le migliori borse di studio per i seminaristi del luogo. Tra i marchigiani scelse, talora, dei collaboratori, mai per compiacenza di campanile: il senigalliese conte Augusti, perché dirigesse l’Osservatore Romano, giornale prestigioso che si conserverà anche dopo il 1870; l’urbinate monsignor Corboli Bussi, che gestì incarichi importanti all’inizio del pontificato, come l’abbozzo di un progetto di Confederazione e di una Lega doganale italiana; l’anconetano monsignor Berardi per supplire il Segretario di Stato. Ma bastarono tre anni perché i senigalliesi cambiassero stato d’animo se non opinioni. Nel novembre del 1860 votarono per l’annessione. Ma coloro che si astennero furono tanti, e la cosa ha sorpreso e incuriosito gli studiosi. Io voglio, tuttavia, pensare che chi se ne stette prudente a guardare, un ricordo poi del Papa Re o del Papa buono, discusso a ragione o a torto, incontrato o intravisto per le strade della città , senza fasto, così con semplicità in quel maggio lontano.
Da questo evento, raccontato da altra penna, ha tratto spunto il Teatro alla Panna per lo spettacolo La Visita di Pio IX.