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Base Luna

Base Luna

Racconto di Pierpaolo Vettori

(da questo racconto è nato il romanzo d’esordio dell’autore, La notte dei bambini cometa, edito da Antigone nel 2011)

I miei genitori mi hanno portato dal dottore perché non voglio fare le medie.
Questo dottore è uno psicologo e ha curato un sacco di bambini pazzi.
Io non credo di essere pazzo ma magari i miei genitori sì per via di questa cosa delle medie.
Il dottore mi ha detto che per stare meglio devo raccontare una storia. Posso dire quello che voglio, anche puttanaeva, basta che sia tutto vero.
Però, se stare meglio significa che poi devo fare le medie, allora non voglio guarire.
Io mi sento come se tutto avesse un buco. Il mio cuore ha un buco. Per quante cose ci metto dentro, questo buco non si chiude mai e sono sempre triste. Ieri, quando sono arrivato a casa, la porta era chiusa. Ho dovuto usare la chiave che mio padre ha nascosto sotto il vaso di fiori. Ho capito che mia mamma non c’era perché era andata al cimitero da Ivan.
Ivan era il mio cugino preferito ed aveva il tumore. Dicevano che aveva sei mesi di vita ma io non ci volevo credere. Ho pregato Dio di non farlo morire, ma lui non mi ha ascoltato. Ormai ho scoperto che anche Dio a volte dice delle bugie. Spero che non mi punisca per questa cosa che ho detto però la penso così. Io credo che se Ivan è morto un po’ è colpa mia. Però è meglio che comincio tutto dall’inizio sennò non si capisce niente.
Facciamo finta che è la storia di uno che si chiama Lorenzo come me.

Questo Lorenzo non era mica normale. Prima di compiere undici anni, aveva già tentato il suicidio quattro volte. Tutte e quattro per amore di sua cugina Chloe che era la più bella del mondo. La prima volta aveva divorato una torta di terra che lei aveva preparato mentre giocavano in giardino. Purtroppo non era morto, gli era solo venuto una specie di vomito marrone. La seconda volta aveva mangiato delle bacche rosse che crescevano sui rovi. Sua madre gli aveva detto che erano velenose, ma lui le aveva inghiottite a manciate. Ci aveva bevuto sopra due grandi sorsi del profumo che Chloe aveva dimenticato sul lavandino. Era sopravvissuto, ma si era buscato una dissenteria feroce che sua madre non riusciva a spiegarsi. La terza volta aveva provato ad annegarsi nel fiume con in mano una lettera destinata a sua cugina nella quale c’era scritto tutto il suo amore disperato. Aveva piegato i vestiti su una pietra larga, perché se si bagnavano sua madre lo sgridava di brutto, e poi si era sdraiato in una pozza cercando di tenere la testa sotto. Dopo un paio d’ore di starnuti e golate di acqua per traverso era tornato a casa. La mamma lo aveva sgridato perché i vestiti erano tutti umidi. Questa mamma era buona fino a un certo punto perché urlava e tirava sberle abbastanza spesso. Lorenzo aveva strappato la lettera in piccolissimi pezzettini e l’aveva ingoiata. La quarta volta era stato più un incidente che un suicidio vero e proprio. Aveva visto un film dove un uomo beveva per dimenticare il suo amore e poi moriva. Non potendo aprire la dispensa dei liquori aveva provato a bere un flacone di sciroppo per la tosse perché sua madre gli aveva detto che era un po’ alcolico. Il tutto si era risolto in un’ennesima dissenteria furiosa che questa volta aveva preoccupato seriamente i suoi genitori tanto che volevano fargli fare una sfilza di analisi per vedere se aveva una qualche malattia all’intestino tipo verme solitario.

Stava per dare il suo quinto addio al mondo quando sua madre lo chiamò. Aveva una faccia seria e triste per cui rimandò il suicidio a tempi migliori. Nascose il blocco di polistirolo che aveva deciso di ingoiare perché a Chloe piaceva sentirlo scricchiolare e andò in cucina. La mamma lo fece sedere e gli disse che Ivan, il suo cugino preferito, stava per morire: gli avevano trovato una malattia brutta.
– Vivrà solo per sei mesi. Se ci viene a trovare voglio che tu gli stia vicino e non litighi con lui. Hai capito, Lorenzo?
– Non morirà, – disse Lorenzo. – Dio lo salverà.
– Lo spero tanto, – rispose la mamma, – ma dobbiamo essere preparati al peggio.
Lorenzo era corso fuori di casa a tutta velocità cercando di non sentire quella morsa dolorosa nello stomaco come un alieno che ti scava dentro la pancia.
Decise che doveva fare un patto con Dio.
Costruì un altarino nel bosco e ci mise diversi giocattoli e figurine. Aggiunse anche il modellino di Land Rover, la macchinina che era un regalo di Ivan. Poi, con un fiammifero che aveva rubato in cucina, accese dei rametti e bruciò i giocattoli.
– Dio, ti offro questi giocattoli e tu sai quanto mi piacciono – pregò rivolto verso il cielo. – Non brucio il mio preferito, che è il sommozzatore con i razzi sulla schiena, perché è un regalo di mia mamma e se scopre che non c’è più sono guai perché costa un sacco di soldi. Spero comunque che sia sufficiente. Ti prego di non far morire mio cugino Ivan perché è un ragazzo giovane e sono sicuro che non ha ancora voglia di venire da te. In cambio ti prometto che non mi suiciderò più per Chloe e non guarderò la prossima puntata di UFO anche se è il continuo di quella prima. Mi fido di te, amen.
Si fece il segno della croce poi ebbe un ripensamento.
– Guarda che, se Ivan muore, non farò mai e poi mai le medie!
Ciò detto tornò a casa.

Dio andava matto per quel bambino.

Lorenzo era religioso perché andava a messa la domenica. Pensava che Dio era l’essere più buono del mondo ma ti teneva d’occhio. Un po’ come faceva suo papà. Infatti Dio si chiamava anche Diopadre. Una volta suo papà gli aveva detto:”Non mi importa di quello che fanno gli altri, tu sei mio figlio e da te pretendo di più”. Anche Dio era un po’ così. Una volta, sul pulmino, Sandro Martucci gli aveva tirato un pugno sulla testa e anche altri avevano cominciato a dargli pugni. Lorenzo non aveva il coraggio di reagire. Allora aveva detto: “Adesso Dio vi punirà!”. I ragazzi gli avevano riso in faccia, ma Lorenzo era sicuro. Lui si era comportato bene e Dio punisce chi si comporta male. Aveva aspettato due giorni e non era successo niente. Si era preso altri pugni. Li tiravano con la nocca del medio che sporgeva dal pugno, per questo si chiamavano “nocchini”. Poi aveva capito che Dio non sarebbe intervenuto perché a Dio degli altri non gliene fregava niente ma da Lorenzo pretendeva di più perché era un credente.

Ivan arrivò un pomeriggio presto.
Lorenzo si era nascosto in camera sua, perché voleva evitare che gli zii gli dicessero le solite cose, tipo “come sei diventato alto” o “ce l’hai una ragazza”, ma la mamma era andata a prenderlo.
– Vieni di là che ci sono gli zii. Non fare l’orso.
Lorenzo era andato e gli zii lo avevano baciato sulle guance. Aveva salutato Ivan e da una smorfia aveva capito che era ancora suo amico come prima e che presto sarebbero andati a giocare. Gli zii si sedettero in cucina e cominciarono a parlare di cose da adulti e a prendere il caffè. Lorenzo allora portò Ivan in camera sua e gli fece vedere i suoi giornalini dei supereroi. Il suo preferito era Thor e al secondo posto l’Uomo Ragno ma a Ivan piacevano i Fantastici Quattro. Secondo Lorenzo i Fantastici Quattro erano mosci e avevano dei superpoteri scarsi. Inoltre ragionavano da vecchi. Se avesse dovuto essere per forza uno dei Fantastici Quattro, Lorenzo sarebbe stato la torcia ma era molto meglio essere Thor perché Thor era un dio. Nessuno era più forte di Thor. C’era un fumetto in cui Thor lottava contro Hulk e si erano presi in una stretta mortale. Restarono immobili per un tempo infinito e nessuno dei due sembrava poter sconfiggere l’altro. Il giornalino finiva così e Lorenzo aveva dovuto aspettare quindici giorni per poter vedere come andava a finire la storia. Alla fine aveva vinto Thor, come era giusto. Hulk era solo un bestione pieno di raggi gamma. Thor invece era intelligente e, oltre ad essere un dio su Asgaard, era anche un dottore zoppo che nessuno si sarebbe mai immaginato che avesse dei poteri. Anche Lorenzo era così: nessuno poteva sospettare che avesse dei superpoteri.
E infatti purtroppo non li aveva.
Ivan invece, se era uno dei Fantastici Quattro, era Quello che si Allunga. Secondo Lorenzo, Quello che si Allunga era un vecchio. Aveva anche i capelli bianchi!

Dovevano decidere cosa fare e Lorenzo aveva già un’idea. Erano due giorni che pioveva di brutto e giù nei boschi era pieno di grosse pozzanghere e acquitrini. In mezzo a una strada sterrata, dove passavano le ruspe per costruire le case nuove, si era formata una conca e dentro ci erano finite un sacco di rane. Potevano andare a prenderle e poi portarle a casa perché le rane alcuni le mangiano. Lorenzo aveva due vecchie racchette da sci. Potevano portarsele dietro e cercare di infilzare le rane al volo. Ivan disse che andava bene, allora presero due sacchetti di plastica e si misero gli stivali di gomma dei genitori di Lorenzo. Lorenzo ci ballava dentro gli stivali di sua madre. Gli zii gli dissero di non andare che pioveva e cosa uscivano a fare, ma il fatto che pioveva rendeva tutto tipo un’avventura. Ivan, lungo la strada, aveva tolto dalla tasca un mazzo di figurine dei Mondiali che erano appena finiti e, mentre camminavano, faceva vedere a Lorenzo solo le facce tenendo un dito sui nomi. Lorenzo li sapeva quasi tutti a memoria. Il suo idolo era Mario Kempes, l’attaccante dell’Argentina. Quando era arrivata in finale con l’Olanda, suo padre gli aveva detto che Kempes non aveva nessuna possibilità perché gli olandesi sono rognosi come i tedeschi, non mollano mai e alla fine vincono sempre. Invece aveva vinto l’Argentina e Lorenzo, quando giocava a calcio da solo, passava la palla a se stesso ripetendo come una litania magica: Fillol, Tarantini, Ardiles, Passerella, Bertoni, Kempes…goooal!!! E  tirava in porta nonostante gli olandesi rognosi si difendessero con tutta l’anima e cercassero di fargli ogni genere di falli.
Ivan poi tirò fuori una foto che non era una figurina ma che aveva ritagliato da un giornale.
– Lo sai chi è questa? – chiese.
Era una ragazza magra coi capelli marroni e gli occhi bellissimi.
– No – disse Lorenzo.
– È Nastassja Kinskj. E’ la donna più bella del mondo.
Lorenzo pensò che non era vero. Non era bella come Chloe. Qualche anno dopo però andò a vedere un film dove lei si trasforma in una pantera. Era vietato ai 14 ma lui ci andò lo stesso per vedere la donna più bella del mondo.
Scesero giù per la riva fangosa che avevano scavato le ruspe e presero due canne di plastica delle tubature per farne delle cerbottane. Ivan sapeva fare bene i cartocci. Li arrotolava svelto e la punta veniva bella dura. Lorenzo invece non li incollava bene con la saliva e risultavano mosci. La carta della “Stampa” era l’ideale per i cartocci ma quel giorno avevano solo un vecchio “Intrepido” che non va bene perché ha la carta lucida e scivolosa e si incolla male. Così Ivan faceva i cartocci anche per Lorenzo. Attraversarono il prato che aveva l’erba alta e bagnata, staccarono un po’ di cenciu e li succhiarono. Erano acidi da morire. Sua mamma non voleva che li mangiasse ma non c’era niente da fare. Una volta aveva fatto una gara con le sue vicine di casa che erano più piccole di lui e aveva mangiato il polistirolo. Non era male, sapeva vagamente di riso soffiato scarso. Quando sua madre lo aveva saputo gli aveva dato un ceffone perché il polistirolo è velenoso. Ivan gli disse che, vicino a casa sua, c’erano dei ragazzi che avevano messo uno spillo nella punta dei cartocci e si appostavano per tirarteli. Uno era stato colpito e adesso era all’ospedale grave.
– La prossima domenica viene Chloe a trovarci – disse Lorenzo che stava pensando ad altro.
– Eh, Chloe…se non fosse mia cugina…- disse Ivan con un’aria strana.
– Cosa vuoi dire?- chiese Lorenzo.
– Niente, niente.
Ma Lorenzo aveva capito cosa voleva dire suo cugino. Voleva dire che se la sarebbe presa come fidanzata. Chloe aveva un anno e mezzo più di Lorenzo, era bionda e aveva gli occhi verdi. Una volta la mamma lo aveva mandato due giorni in colonia ma lui si era fatto riportare a casa dopo poche ore perché aveva nostalgia. La mamma era preoccupata.
– Non puoi restare sempre attaccato alle mie gonne – gli aveva detto. – Prima o poi dovrai imparare a stare da solo.
Lorenzo non voleva stare da solo. Voleva stare con sua mamma. Non accettò più di andare da nessuna parte. Alla fine la mamma lo convinse a stare due giorni con sua cugina Chloe. Prima di partire Lorenzo pianse per ore poi dovette andare. Chloe lo fece giocare e si trovarono benissimo insieme. Andarono in cantina a cercare dei vecchi libri di scuola nelle ceste polverose e poi andarono al cinema da soli a vedere “Love Story” che li fece vomitare perché non succedeva niente. Insomma, quando la mamma tornò a prendere Lorenzo, lui restò in camera a giocare con Chloe fingendo di non essersi neanche accorto che la mamma era tornata.
Una sera stava dormendo vicino a Chloe che gli teneva la mano e le aveva chiesto se lei di notte aveva mai paura. Lei disse che aveva un fidanzato e che le bastava pensare a lui per non avere più paura. Lorenzo aveva chiesto a Chloe di diventare anche la sua fidanzata ma lei gli aveva detto che non si poteva perché di fidanzato ce n’è solo uno. Lorenzo gli aveva chiesto di essere il suo fidanzato di riserva come nelle squadre di calcio ma lei aveva detto no. Lorenzo aveva sentito un male forte al cuore. Era lì che aveva capito che si era innamorato.
Prima di Chloe si era innamorato tre volte in vita sua: di Raffaella Carrà, di Nadia Comaneci e della moglie di Cruyff. A Raffaella Carrà aveva scritto una lettera quando aveva otto anni chiedendole un autografo ma lei non aveva risposto. Forse era anche giusto perché allora era troppo piccolo e dietro la busta aveva scritto: per Raffaella Carrà, Rai Radiotelevisione Italiana. Forse quelli della Rai non gliel’avevano neanche data. Nadia Comaneci invece era rumena ed era il passerotto di Bucarest. In Romania si stava male perché c’erano i comunisti e nessuno poteva scappare. Lorenzo aveva sognato di andarla a rapire costruendo un pallone aerostatico. Lei sarebbe stata felice di poter scappare e avrebbe sposato Lorenzo. La moglie di Cruyff invece l’aveva vista in un documentario sui Mondiali del 1974 a Monaco. Era in aereo con Cruyff e, anche se lui aveva perso la finale, era felice e lo baciava lo stesso. Era bionda e carina e amava le persone anche se perdevano. Forse però era solo che del calcio non gliene fregava niente essendo una donna.

Quando Lorenzo pensava di essere innamorato credeva che l’amore fosse abbracciarsi forte forte senza staccarsi mai e volersi bene con tutto il cuore. Così avrebbe stretto a sé Nadia Comaneci. Raffaella Carrà e la moglie di Cruyff invece erano donne grandi e con loro avrebbe anche dovuto andare a cena e magari picchiare dei cattivi che le prendevano in ostaggio per dominare il mondo.

La donna che Lorenzo amava più di tutte era il tenente Gay Ellis della serie televisiva UFO. Lorenzo sapeva che il tenente Ellis era una donna inglese che faceva l’attrice e si chiamava Gabrielle Drake. Gabrielle Drake ogni tanto si trasformava nel tenente Ellis e andava a lavorare alla SHADO che era un gruppo segreto in lotta contro gli UFO. Il tenente Ellis lavorava a Base Luna e aveva i capelli viola perché sulla luna i capelli prendono quella tinta. Una volta Lorenzo aveva sfogliato l’album delle fotografie e ce n’era una di sua madre in piedi su uno scoglio vicino al mare. La foto era tutta virata in un arancione violetto. Lorenzo aveva chiesto: “Io dov’ero in questa foto?” e la mamma gli aveva detto che lui non c’era ancora. “E dov’ero?” aveva insistito. “Eri ancora sui monti della luna” gli aveva risposto la mamma. Da quel momento Lorenzo aveva pensato che sua mamma da giovane abitasse sulla luna e infatti la foto era viola. Quindi anche Lorenzo, prima di nascere, era stato sulla luna. Forse era per quello che amava cosi tanto il tenente Gay Ellis.

Ivan saltò con agilità il fosso che separava i due prati. Lorenzo lo imitò con fatica a causa degli stivali larghi. In fondo al campo si sentiva già il rumore del fiume. Deviarono a sinistra dove un piccolo boschetto era stato sventrato a metà dal passaggio delle ruspe.
– Ecco, è là in fondo – disse Lorenzo.
C’era una pozzanghera enorme in centro alla strada sterrata. L’acqua era marrone e non si vedeva niente.
– Dove sono le rane? Qui non c’è niente – disse Ivan.
– Aspetta. Guarda.
Lorenzo si avvicinò alla pozzanghera e ci sbatté dentro con violenza lo stivale. Due o tre piccole rane verdi e marroni saltarono fuori.
– Hai visto? Ce n’è un casino.
Ivan aveva già alzato sopra la testa la racchetta da sci e aveva tentato di infilzarne una, ma la ranocchia era scivolata di lato evitando la punta.
– Facciamo così: tu muovi l’acqua da quella parte e io di qua le infilzo quando escono.
Ivan dava gli ordini e Lorenzo eseguiva.
La prima rana fu infilzata senza difficoltà. Il brutto era toglierla dalla punta che ancora si muoveva e infilarla nel sacco di plastica. Si aiutarono con la racchetta di Lorenzo.
In breve tempo uccisero una ventina di rane ma l’euforia della caccia lasciò presto il posto ad uno strano schifo dovuto a tutto quel sangue verdastro.
– Speriamo che i nostri le mangino – disse Ivan.
– Io non le tocco – replicò Lorenzo.
Ormai sembrava che nella pozza non ci fossero più rane e allora i due cugini cominciarono e dragarla entrandoci dentro con gli stivali. A un tratto saltò fuori davanti a loro un grosso rospo verde che si girò sul fango e sembrava guardarli. I due si spaventarono e corsero un po’ in là.
– Ma che fai? Hai paura? – disse Ivan fermandosi.
– No. Mi ha solo spaventato.
– Dai. Torniamo e uccidiamolo.
Tenendosi vicini i due cugini tornarono alla pozzanghera. Il rospo non c’era più. Se lo ricordavano enorme. Nessuno dei due faceva un rumore. Respiravano corto e facevano attenzione ad ogni minima cosa.
– È lì! – gridò Lorenzo facendo fare un salto a suo cugino. Il rospo aveva fatto un paio di metri e adesso li guardava cattivo alla loro sinistra.
– Infilziamolo tutti e due. Tu vai di là e io lo prendo da dietro.
Si spostarono in silenzio come gli indiani dei film. Il rospo non si mosse. Ivan stava già per colpirlo quando Lorenzo disse: “è morto”.
Il rospo aveva un foro rotondo e rosso sulla schiena. Era stato ferito da uno dei tanti colpi di punta che i due avevano inferto a casaccio sulla pozzanghera. Adesso stava lì, enorme e fiero, a rimproverarli della loro inutile crudeltà.
– Andiamo – disse Ivan.
– Non lo mettiamo nel sacchetto? – chiese Lorenzo.
– Io non ho il coraggio. E se poi non è morto e si muove?
– Hai ragione. Andiamo.
Si incamminarono in direzione del fiume col sacchetto pieno di rane e si sentivano tristi e disgustati. Non era stata una bella avventura come credevano e di sicuro non avrebbero mai mangiato rane in vita loro.
– Secondo me la donna più bella del mondo è quella coi capelli viola di Base Luna – disse Lorenzo che covava nella sua testa un sacco di pensieri.
– Chi?
– Quella di…oh, porca vacca, ma adesso c’è UFO in televisione! Ce lo perdiamo!
Ivan alzò le spalle.
– Chissenefrega. È un telefilm vecchio. È per bambini.
– Non è per bambini.
Ivan si fermò e si guardò intorno.
– Ah no?
– No, per niente. Io, da grande, voglio essere come uno di UFO.
– Vedi che dici “da grande”?
– Volevo dire nel futuro – si corresse Lorenzo.
Ivan si frugò nel taschino e tirò fuori una sigaretta con due cerini.
– Fumi? – si stupì Lorenzo sgranando gli occhi.
– Certo. L’ho fregata a mia madre. Vuoi fare un tiro?
Si sedettero a terra vicino ad un albero. Ivan strofinò il fiammifero contro il tronco.
– Bisogna fare attenzione perché ho solo questi fiammiferi. Se si spengono siamo fregati.
Il fiammifero bruciò per un attimo ma Ivan riuscì ad accendere una piccola parte della sigaretta e cominciò a tirare forte per non farla spegnere.
– Tu dici il futuro. Il futuro non c’è. E poi il tenente Ellis non è come Nastassja Kinski. Con la Kinski ti viene voglia di fare sesso.
Lorenzo restò in silenzio. Erano frasi che doveva capire bene. Ivan gli passò la sigaretta.
– Fai un tiro.
Lorenzo aspirò forte come faceva sua madre e tossì facendo cadere la sigaretta. Ivan la raccolse in un lampo.
– Ma che fai? Se si bagna è finita. Sei proprio un bambino.
– Non sono un bambino.
– No, certo.
Ivan tirò un’altra boccata aggiustandosi gli occhiali.
Lorenzo era offeso e guardava lontano. Rifiutò anche la sigaretta che Ivan gli offriva.
– Va bene, dài, non importa. Volevo dire che uno grande con le donne ci vuole fare sesso.
Lorenzo si voltò verso il cugino.
– Tu ti fai già le seghe? – chiese Ivan.
– Sì.
Ivan si appoggiò con la schiena al tronco dell’albero. Sorrideva in modo strano.
– E come te le fai?
Lorenzo era diventato rosso.
– Mah, non so. Normali.
– Normali come?
– Come tutti.
– E quante te ne fai al giorno?
Lorenzo cercò di inventare un numero giusto.
– Non so. Venti…trenta.
Ivan si mise a ridere di gusto.
– Ma va! Tu non sai farti le seghe. Io alla tua età me le facevo già da due anni.
Ecco perché a scuola lo prendevano in giro. Tutti si facevano le seghe e capivano che lui non era capace.
– Lo sai come si fanno?
Lorenzo fece di no con la testa.
– Ascolta. Vieni qui.
In un orecchio, con poche brevi frasi, svelò a Lorenzo il segreto.
– Vedrai che quando ti farai le seghe ti piacerà molto di più Nastassja Kinski che il tenente Ellis.
A Lorenzo fischiavano le orecchie. Non aveva mai pensato al sesso in questo modo. Per lui il sesso era stare sdraiati vicini e tenersi stretti tutta la notte dandosi dei baci.
Ivan finì la sigaretta e la spense ai piedi dell’albero.
– E se la sega te la fa una ragazza è mille volte più bello.

Ivan camminava davanti a lui. Lorenzo portava il sacchetto con le rane reggendolo con due dita perché gli faceva schifo e aveva paura che qualcuna si risvegliasse dalla morte e si arrampicasse su per il nylon.
– Stai lì! – ordinò Ivan.
Lorenzo si bloccò.
– Cosa c’è? – chiese.
– Niente.
– Come niente?
– Niente ti ho detto. Comincia a tornare. Facciamo il giro largo. Io ti raggiungo.
Ivan aveva la voce strana. Sembrava pallido.
– Voglio vedere anch’io.
– No. Sei troppo piccolo.
Lorenzo si sentì offeso dalle parole di suo cugino. Fino a quel momento lo aveva trattato da grande, gli aveva rivelato un sacco di segreti e adesso era piccolo anche per lui. Da Ivan non se lo aspettava.
– Vengo a vedere – disse.
– Non ti muovere – intimò Ivan. – Se ti avvicini ti faccio una mossa giapponese sulla gamba e resti paralizzato per sempre.
Lorenzo aveva paura della mossa giapponese. Era una ginocchiata forte sulla coscia, in quel punto dove fa così male che ti senti svenire. Ivan gliel’aveva fatta un paio di volte per insegnargliela. Non con tutta la forza sennò lo avrebbe paralizzato. Gli aveva fatto un male cane e adesso Lorenzo la riteneva la mossa segreta più pericolosa del mondo a parte il colpo sul cuore che sembra non ti faccia niente ma fai tre passi e muori.
– Allora aspetto – disse Lorenzo che cominciava a spaventarsi.
– No. Comincia a tornare. Io ti raggiungo e poi ti racconto.
Ivan aveva in mano un pezzo di carta e lo leggeva.
Lorenzo si girò su se stesso e cominciò a camminare ma dentro di sé prendeva nota degli alberi e delle pietre per ritrovare il posto. Ci sarebbe tornato da solo perché lui non era piccolo.
Camminò per un bel pezzo finché arrivò al fiume: c’erano delle grosse pietre rotonde in mezzo all’acqua. Lorenzo le conosceva bene. Lasciò le rane sulla riva e, saltando sulle pietre più piccole, arrivò in mezzo e si sedette su una larga pietra tutta sbiancata dal sole. Dopo un po’ arrivò Ivan, con gli occhiali di traverso sul naso e la faccia stanca.
– Come hai fatto ad arrivare là in mezzo?
– Devi mettere il piede su quella pietra spaccata e poi seguire il passaggio.
Ivan cominciò a saltare. A metà del percorso c’era una pietra verde che traballava. Non dovevi salirci sopra con tutto il peso, dovevi solo usarla come un appoggio veloce. Stava per dirlo a Ivan ma stette zitto perché era ancora arrabbiato con lui. Suo cugino saltò sulla pietra verde che si mosse e gli fece scivolare in acqua il piede.
– Porca puttana. Quella pietra si è mossa – imprecò.
– Ah si, mi sono dimenticato di dirtelo. Quella verde balla.
– Porca Eva. Adesso mi sono lavato i pantaloni. Come faccio a dirlo a mia mamma?
Lorenzo si strinse nelle spalle.
Ivan si sedette sulla pietra larga di fianco a lui e cominciò a togliersi lo stivale. Poi si sfilò la calza e la strizzò.
– Tieni il calzino sotto l’ascella. Tra un po’ si asciuga.
– Ma resterà la macchia sui pantaloni.
– Quando andiamo a casa passiamo da sotto. Andiamo in lavanderia e la spazzoliamo. Un po’ va via.
Ivan sorrise.
– Te ne intendi, eh?
Lorenzo gli lanciò uno sguardo da adulto.
– Le rane dove le hai lasciate?
– Sulla riva.
– Va bene.
Stettero in silenzio per un po’.
– Cosa c’era nel bosco? – chiese Lorenzo.
– Giura che non lo dirai a nessuno.
– Lo giuro.
– E giura che non andrai mai a vedere.
Lorenzo tentennò perché aveva già deciso di andare a vedere per conto suo.
– Ho detto giura! – intimò Ivan facendo la faccia seria.
– No.
– Guarda che lo dico per te. Se vai là da solo può essere pericoloso.
Lorenzo si arrese.
– Ok, lo giuro.
– Va bene, – disse suo cugino grattando la pietra su cui era seduto con un rametto che aveva trovato in tasca.
– Allora cosa c’è nel bosco? – chiese Lorenzo impaziente.
– Un alieno morto!
La notizia piombò come un macigno sulla testa di Lorenzo.
– Non ci credo.
– Non importa. Tanto ormai hai giurato.
Lorenzo restò in silenzio.
– Non c’è nessun alieno.
– Credi quello che vuoi.
– Uomo o donna?
– Gli alieni sono tutti uguali.
– Non è vero. Le donne hanno gli occhi più a mandorla mentre…
– Un uomo. Un vecchio, – tagliò corto Ivan.
Lorenzo aveva messo una mano nell’acqua e la lasciava scorrere tra le dita.
– Dobbiamo andare ad avvertire la polizia.
Ivan fece una faccia cattiva.
– No. Non ci crederanno mai.
– Ma, se c’è un UFO…
– Dimenticati quello che ti ho detto. Lo troveranno. E guai a te se provi ad andare a vedere.
– Ma io voglio andare a vedere. – Lorenzo stava per mettersi a piangere. – Bisogna…
– Dài, lascia perdere. Lo troveranno. E poi magari non c’è nessun alieno. L’ho detto solo per farti paura.
– E allora cosa c’è?
– Niente. Lascia perdere. – Ivan non disse niente per un po’. – Io sto per morire, lo sai?
Lorenzo sentì un brivido gelato nella pancia.
– Non morirai.
– Sì invece. E voglio che mi prometti che non tornerai nel bosco a vedere l’alieno. D’accordo?
Lorenzo annuì.
– Giuralo sulla mia vita.
– Lo giuro.
– Se torni non ti perdonerò mai. Neanche dall’aldilà.
– Ok, ma tanto non muori.
– Torniamo a casa.
Si alzarono e uscirono dal fiume stando attenti alla pietra verde.
Si incamminarono verso casa.
– E il sacchetto con le rane? – chiese Lorenzo.
– Lasciale lì. Fanno schifo. Chi vuoi che le mangi? Magari ci sgridano pure perché le abbiamo ammazzate.
Camminarono in silenzio attraverso l’erba alta che si stava asciugando e rilasciava un vapore odoroso che dava alla testa.
– Lo sai cos’è questo odore?
– No, – rispose Lorenzo.
– È il sambuco – disse Ivan staccando da un albero una specie di foglia piatta.
– Annusa.
Lorenzo sfregò la foglia e ne aspirò l’odore. Era cattivo.
– Sai di cosa sa?
– No.
– Di morti.
Lorenzo non sapeva che i morti avessero un odore, ma da quel momento associò l’odore del sambuco a Ivan.
– Tu non sai niente dell’amore, – disse Ivan scoppiando a ridere di punto in bianco.
– Non è vero.
– Si che è vero. E neanche del sesso.
– Balle! – esclamò Lorenzo offeso.
– Tu sei innamorato di Chloe.
Lorenzo si sentì avvampare di rabbia.
– Non è vero e tu sei scemo.
Ivan gli tirò un calcio sugli stinchi e poi corse lontano gridando: ”Ami Chloe e non sai farti le segheeeee!”

Dopo qualche giorno Ivan fu ricoverato e Lorenzo fece una cosa molto brutta.
Era arrabbiato con suo cugino e non lo voleva vedere mai più.
Aveva deciso di andare nel bosco a cercare il cadavere dell’alieno anche se aveva giurato che non lo faceva. Meno male che si ricordava il posto. Il corpo però non c’era. Probabilmente era stato risucchiato nell’astronave per non lasciare delle tracce. Provò a cercare lì intorno per vedere se trovava delle bruciature rotonde per terra che sono i segni dell’atterraggio degli Ufo.
Trovò solo un paio di giornalini con degli uomini nudi che facevano delle cose tra di loro. Rimase lì qualche minuto, come ipnotizzato dalle immagini, e poi sentì qualcosa succedere in lui. Si toccò i pantaloni e si accorse che erano bagnati ma non si era fatto la pipì addosso. Doveva andare al fiume a lavarsi. Non credeva che gli uomini potessero fare certe cose tra di loro.
Cercò attorno ai rovi e trovò altri giornali spiegazzati e mezzo sbiaditi dalla pioggia e dalla rugiada. Lì c’erano anche delle donne. Lorenzo prese con sé alcune pagine dove ce n’era una che sembrava un po’ Chloe e andò verso il fiume.
Si sdraiò su una pietra piatta e guardò il cielo. Anche se era giorno c’era una luna grande e pallida tipo ostia di carta.
Per la prima volta la luna era vuota.

Arrivato a casa, aveva la faccia sconvolta. Sua madre gli disse che Ivan aveva chiesto di lui. Lorenzo arrossì. Forse sapeva che era tornato nel bosco e che aveva scoperto il suo segreto. Disse alla mamma che stava male e che non voleva andare da Ivan all’ospedale. La mamma disse che andava bene. Dopo quindici giorni operarono Ivan d’urgenza ma i dottori non riuscirono a salvarlo.

Non lo vide mai più.

Ecco perché è colpa di Lorenzo se Ivan è morto.

Adesso il racconto è finito e vorrei dire una cosa io.
Caro Ivan, so che hai lanciato una maledizione fortissima su quel bambino ma, insomma, ha solo dieci anni e l’alieno mica c’era nel bosco.
Adesso questo dottore mi darà le medicine e forse mi farà il lavaggio del cervello e io non so se potrò resistere.
Mi faranno fare le medie per forza e non andrò mai a vivere a Londra al posto tuo come ti avevo promesso al funerale. Mi dispiace se sei morto ma io non volevo che succedesse. Spero che mi perdoni. Io ti voglio tanto bene,

Lorenzo.

***

Pierpaolo Vettori è nato nel 1967 a Venaria Reale (TO). Appassionato di musica rock, ha lavorato negli anni Novanta a Radio Flash, storica emittente privata torinese. Ha collaborato a lungo con le riviste musicali “Rumore” e “Blow Up”. È un fabbro. Scrive da sempre. Ha esordito con il romanzo La notte dei bambini cometa (ed. Antigone, 2011), finalista al Premio Calvino 2010. Il suo secondo romanzo Le sorelle Soffici ( ed. Elliot, 2012) è stato anch’esso finalista e segnalato dalla giuria al Premio Calvino 2011.

 

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