Green Rope – Foto di Gaspa
VIII
Elena è bella. Ora lo so per certo, perché abbiamo fatto l’amore.
Ha letto i miei appunti. Io ho parlato, ho spiegato. Atteggiarmi a piccolo maestro mi è sempre piaciuto.
Poi, mentre curvo sul tavolino leggevo, mi ha baciato la nuca. Non c’è stato approccio, nessuna esitazione, come se tutto fosse programmato da giorni.
Elena è bella e ha l’amore nel sangue. Non ti fa sentire mai nudo, ma avvolto, fasciato e libero insieme.
La casa è piccola. Sono tre stanze che si aprono su uno spazio di forma quasi circolare, che funge da salotto. Una di quelle tre porte deve essere la camera da letto. Lì non sono entrato.
Forse non si è mai voluta spostare in camera per la paura che chiedessi di dormire qui.
Elena è bella ma urla. Questo non mi piace. I corpi sono sufficienti, le urla fanno solo casino. Non è volgare. Ripete il mio nome, in continuazione. Non le ho chiesto di smettere. È un piccolo neo che posso accettare.
Quando tutto è finito, mi sono vestito e ho rimesso in ordine i miei fogli.
– Lasciali qui…non abbiamo mica finito…. –
Non c’era modo più bello per chiedermi di tornare. Ho lasciato i fogli sul tavolo e le ho sorriso.
– Domani? –
– Si, a quest’ora… –
Non penso di aver ritrovato qualcosa che avevo perduto. C’è solo qualcosa di nuovo e ci penso.
IX
Al mare sto poco. Mi fermo per il tempo che separa il lavoro da Elena.
C’è sempre più gente e tanto rumore. E poi ho meno pensieri.
Laura mi guarda e sorride, come sapesse. Io non le ho detto nulla.
Da giorni ormai vado regolarmente a casa di Elena. Facciamo l’amore e parliamo poco.
Le prime volte mi faceva leggere quanto aveva scritto. Mi faceva notare i punti in cui aveva citato i miei studi. Che questo gonfiasse il mio ego, le era chiaro. In fondo i sassi e il sole non mi hanno cambiato totalmente. Qualcosa è rimasto. Lei non si è portata via tutto dietro il cancello, lasciando in cambio un mucchio di libri.
Di lei, di ciò che è avvenuto non parlo con Elena.
Non chiede nulla e per questo sono certo che sa.
Il suo evitare di far domande è visibilmente forzato, forse condizionato dalle notizie che ha avuto.
Se sapeva dove trovarmi deve aver raccolto voci, non solo all’Istituto.
Questo dovrebbe turbarmi. Forse dovrei rompere quel silenzio, chiedere e esser preparato alle risposte. Ma poi penso che tutto questo sta in equilibrio ed è quasi un miracolo. Muovere un solo pezzo potrebbe rovinare l’insieme. Non voglio discutere. Preferisco il nostro silenzio e quel divano dove facciamo l’amore. Quando mi farà entrare nel suo letto, forse chiederò qualcosa. Il materasso ammortizzerà un’eventuale caduta, la perdita di quell’equilibrio.
Ieri è arrivata in ritardo. Io aspettavo davanti al portone.
È scesa dall’auto e con passo veloce mi è venuta incontro.
Mi ha dato un bacio e mi ha chiesto “scusa†ridendo.
Ha preso la chiave da una fessura del muretto che cinge il giardino.
Ho fatto finta di non aver visto. Mi sembra eccessivo sapere una cosa così.
Ma forse sono io il paranoico.
– Non scrivi più? –
– Scrivo, scrivo… ma sono in un punto “chiaveâ€. Sono lanciatissima. Vorrei che tu leggessi il tutto a lavoro concluso. Adesso potresti fraintendere. Vorrei darti una visione d’insieme -.
Strano però. Dal tavolo da qualche giorno è scomparso tutto. Non sembra così immersa nel lavoro. È tutto riposto in libreria nella stessa identica posizione. Forse lavora in camera. Forse ha altro materiale che non vuole farmi vedere.
– Senti, stavo pensando ad una cosa, che non c’entra con il lavoro…Ma forse meglio di no, mi prenderesti per pazza!-
Ridevo.
– C’è una cosa che vorrei fare…non l’ho mai fatta. È un po’ che ci penso. Ecco…se tu dicessi di no, non c’è problema, capirei…ma è un pensiero fisso e voglio provare…-
Mi guardava con aria maliziosa. Aspettava uno sguardo di consenso, così, sulla fiducia, come spesso fanno le donne.
Le veniva da ridere.
Mi ha dato un bacio e si è diretta verso la credenza. Ha tirato fuori una valigetta e l’ha messa sul tavolo. Io guardavo perplesso.
– Cosa c’è lì dentro? –
Ha aperto la valigetta.
In un primo momento non riuscivo a capire cosa fosse.
Era una piccola telecamera.
– Mi vuoi fare un’intervista? –
Non era una battuta. Non avevo pensato subito al sesso.
Lei mi guardava in attesa della risposta.
X
Non ho detto di no. Non cozza con la mia morale.
La cosa mi è piaciuta. Ci ripenso e rido, qui sul lettino, sotto il mio cappello di paglia.
Non è più tornata qui. Il nostro mondo è la sua sala. Mi sembra quasi un campo neutro non essendo mai entrato nel suo letto.
Un vicendevole rispetto degli spazi. Lei non calpesta i miei sassi. Una tutela, in fondo.
Alla fine non conosco Elena e su questo sole non voglio scommettere. Non sorge per tutti.
È mio e basta.
Le fantasie dell’eros corrono più veloci della nostra confidenza, e forse è meglio così.
La telecamera e il sesso. Metto una nuova esperienza in valigia.
E poi mi piace l’entusiasmo di Elena. Non che l’occhio elettronico aggiunga del piacere all’atto. Questo no. Ma è bello vederla divertita, vederla giocare. Era da troppo che non giocavo.
Oggi abbiamo ripetuto l’esperimento. È finito anche il nastro.
– Cancelliamo quella di ieri…-
– Guai a te! –
Ha abbandonato il mio corpo con uno scatto ed è corsa verso la credenza. Il ripiano era pieno di nastri vergini. Saranno stati più di venti.
Ho seguito tutta l’operazione di ricarica ridendo.
– Ma quanti sono?! Ma tu non dovevi scrivere? –
– Beh…mettiamola così…fa parte del progetto…-
A quella risposta mi sono sarcasticamente coperto gli occhi. Quando ho tolto la mano stava tornando verso di me, nuda e soddisfatta.
Ogni tanto si voltava verso l’obbiettivo e poi di nuovo verso di me, ridendo.
Una ragazza bella che ride e che gioca. Non si può chiedere di più.
XI
– Elena, basta! Oggi no. È quasi una decina di giorni e non mi diverte più. Mi sta annoiando. Metti via quell’attrezzo e siediti, per favore… –
Mi ha fatto il broncio da bambina capricciosa.
Mi piace in ogni cosa che fa e questo è un serio problema.
Si è seduta accanto a me. Mi ha accarezzato.
Conosco le donne quel tanto che basta e avevo previsto cosa avrebbe detto di lì a poco.
Prima ancora che dalle sue labbra uscisse un qualche suono già ridevo.
– L’ultima volta…dai…giuro. Voglio provare una cosa. Poi basta, promesso. –
Ho detto si. Non sono un educatore.
Non sono nessuno per preoccuparmi se la cosa stia assumendo dei risvolti maniacali.
XII
Oggi mi sono arrabbiato. Ho perso la calma che per mesi ho trovato nei sassi.
Forse non ho saputo farne tesoro.
Ieri non sono andato a casa di Elena. Ho preso il mio treno.
In quel giorno la mia donna è un’altra e a lei porto fiori.
Non è un voto bigotto. Non me lo sono imposto. È così e basta.
Ma oggi la voglia di stare con Elena era maggiore.
Ho salito le scale di corsa e ci siamo stretti subito.
E poi quel suono.
– Elena, mi hai preso per il culo?-
– Ma che dici? –
– Non sono cretino. Quello era il suono del nastro che finisce. Mio Dio… Hai nascosto la telecamera…Che schifo. –
Mi è bastato uno sguardo. Era piazzata nella libreria, puntata verso il divano e coperta in malo modo da due animali di pezza. Lei mi ha sorriso.
– Dai, era uno scherzo…-
– No. Non era uno scherzo. Avevo parlato chiaro. È una mancanza di rispetto…è ciò che non voglio. Cristo! Ieri non ci siamo visti. Non mi hai chiesto nulla. “Dove sei statoâ€â€¦ “cosa hai fattoâ€â€¦ Mi sei saltata subito addosso. Pensavo che fossi spinta dalla stessa voglia che mi ha fatto salire qui di corsa e che le domande potevano aspettare…e invece no. La tua preoccupazione era che il nastro non andasse sprecato. Tutto ciò è squallido.-
– Non capisci…non hai la visione d’insieme…-
– Ma che cazzo stai dicendo? Ma sei matta? Visione d’insieme?! Ma allora è veramente una mania…Dio, fammi stare zitto. –
– Te ne puoi anche andare, abbiamo finito. Mi basta così. –
Non lo diceva con rabbia. Non sembrava una reazione. Mi stava invitando ad andarmene con un distacco, quasi con garbo. Mi ha fatto paura.
Senza dire una sola parola mi sono rivestito e me ne sono andato.
Salito sul furgone ho acceso la radio e sono venuto qui.
È buio e questo annulla l’effetto benefico del mio lettino.
Per la prima volta da quando ho messo piede in questo posto mi sono seduto al tavolo.
Laura la sera è ancora più bella. La sola cosa bella di questa strana serata.
La guardo mentre spina la mia birra. Ha capito che qualcosa è successo. Dal bancone mi fa dei cenni garbati col capo come per chiedere “tutto bene?â€
XIII
Ho suonato il campanello, più volte a intervalli regolari.
Odio le attese e i pensieri che regalano. E poi l’ho fatto. Ho sbagliato, sapendo di sbagliare.
Ho preso la chiave dalla fessura del muro.
Potevo far tutto.
Adesso mi pento di non aver fatto due passi in collina, in silenzio a pensare.
In quella casa non c’era nulla di mio. Non dovevo riprendermi niente. Potevo andarmene.
Elena ha detto “mi basta cosìâ€. Altro non c’è. Cosa cercavo?
In questi casi, se uno dei due è sazio, l’altro si alza e se ne va. Non continua a chiedere cibo.
Va a fare due passi in collina, a vedere il mare dall’alto, a cercare, nei passaggi dal blu al verde, le secche e le profondità . Digerisce.
Oppure potevo guidare fino alla spiaggia. Il lettino mi avrebbe fermato. Avrei preso tutto il sole di questa mattina splendente.
E poi ho pur sempre un lavoro. Le macchinette con le palline saranno gonfie di monete. Dovevo fare il giro dei bar.
Potevo far tutto. Avevo il silenzio a portata di mano. È bastata una donna per fare rumore.
Perché sono venuto qua? L’aver perso la calma doveva essere motivo sufficiente a tenermi lontano.
Non ho sentito il rumore della terra che si spacca sotto i piedi. Per cosa mi sono temprato in tutti questi mesi?
– C’è qualcuno?-
Ho sperato in una risposta dalla porta sempre chiusa della camera da letto. Speravo in una voce rabbiosa, in un rimprovero per una così grave violenza.
Ho pensato che potevo andar via. Non c’è errore se nessuno si accorge. Saggezza infantile che corre in soccorso. Non l’ho ascoltata. Ha vinto il bambino più grande, quello che vuole vedere, quello che apre le porte.
La stanza era buia. L’unica finestra chiusa. La mano destra è volata da sola verso il muro a cercare l’interruttore.
E luce fu.
L’esatto opposto della luce del sole che sbatte sui sassi. Una luce che si è adagiata piano, gialla e fioca ha illuminato la camera da letto.
Nel letto c’era un uomo.
Io ero impietrito. Sono rimasto zitto. Anche lui. Sembravamo entrambi in attesa che l’altro facesse qualcosa. Ho distolto lo sguardo dall’uomo un istante e ho capito.
Quel tizio non avrebbe potuto fare assolutamente niente.
In quel letto era costretto da qualche male.
– Sono un amico di Elena…La porta era aperta…me ne vado subito, mi scusi. –
Ha aperto la bocca e ha cercato di dire qualcosa.
Non capivo. La voce era poco più di un sibilo. Mi sono avvicinato al letto.
Ripeteva sempre la stessa frase. Mi sono chinato, avvicinando il volto al suo.
– Io so chi sei. –
Non so dire se quello è stato il momento esatto in cui ho compreso.
Mi sono girato. Sopra il comò, accanto al televisore, c’erano delle carte, dei referti medici.
Ho letto il nome.
– Adesso anche io so chi sei…-
Sono uscito dalla stanza spegnendo la luce.
XIV
Ero certo che sarebbe venuta a cercarmi.
L’ho attesa sul mio lettino per due giorni.
– Ti aspettavo…-
– Anche io ti aspettavo. Non sai quanto ti ho aspettato… –
Prima che potessi interromperla mi ha fermato con un cenno della mano.
– Ti ho aspettato ogni giorno in questi mesi. Dicevo a me stessa che dall’altra parte del mondo c’era un uomo nella mia stessa angoscia. Verrà a portare giustizia per se stesso e per me. Verrà e guarderà negli occhi quest’uomo quasi morto. Verrà a chiedere perché… Ti aspettavo. Aspettavo che rabbioso venissi a punire chi ti aveva portato via la tua donna. Ma tu non arrivavi mai. Forse perchè la tua compagna è morta e il dolore non si sveglia con te ogni santa mattina. A me, invece dopo quel giorno, me lo hanno rimandato così. Adultero e storpio. Che beffa…non trovi?-
Io guardavo il mare piatto del mattino. Non mi sembrava il caso di dire nulla.
– Non arrivavi mai. Allora ti ho cercato. All’inizio ti volevo solo parlare. Poi, quando ti ho visto qui, a prendere il sole, come nulla fosse successo, ti ho odiato. Magari stai pensando anche tu, come tanti, che ha avuto la sua punizione, che la sua condizione fisica sia pena sufficiente. Ho provato anche io a pensarlo. Ma non reggeva, per due motivi. Il primo è che ogni giorno io, parte lesa, pago con lui. Non posso ricominciare. Non posso starmene qui a prendere il sole. Da mattina a sera la mia vita è votata a lui e alle cure di cui necessita, una schiava.
– E il secondo motivo?-
– Lui ha le medicine. Medicine per il dolore, medicine per dormire. Non piange di giorno. Non si sveglia la notte urlando. Per ogni piaga ha una medicina, per tutto il resto ci sono io. Io non ho nulla.-
Mi sono girato verso di lei.
– Mi guardi come fossi matta. Tu non capisci. Un mese fa ho smarrito la borsa, con le chiavi della macchina, i soldi e le sue medicine, appena comprate. Gli è bastato rimanere qualche ora senza per cominciare a lamentarsi e… io gli chiedevo scusa, mi sentivo responsabile…io? Io non devo chiedere scusa di nulla. Io sono una schiava che chiede perdono? Allora ho capito. Ho fatto giustizia. E per giustizia tu…sì tu, dovevi essere protagonista. Sì, il protagonista di un film, di questo film zozzo, di questa pellicola di serie B, che è la mia vita….Sì, si può dire che io sia diventata la regista. –
Mi sono alzato dal lettino. E ho pensato che ciò che stava per dire me lo aveva già detto, il giorno che me ne sono andato da casa sua: “tu non hai la visione d’insiemeâ€.
– Vedi, ora sono qui. Mi dispiace averti fatto aspettare due giorni. Ma di due giorni avevo bisogno. Ventiquattro ore per guardarlo andare in astinenza delle sue medicine. Le altre ventiquattro ore servivano perché vedesse il film che lui ha ispirato, che io ho girato, di cui tu sei il protagonista.-
Non sono riuscito a dire nulla. Solo un misero – tu non stai bene…-
– No. Ti sbagli. Io sto meglio. L’unico rammarico è che mi hai mollato proprio quando stavamo per finire…il filmato era meno di ventidue ore…ma come “opera prima†ci può stare. –
Si è alzata. Ha fatto un cenno come per dire di aspettarla. È andata verso la sua macchina. È tornata e con sé aveva una busta di plastica.
– Tieni. Questa è roba tua. E dato che sai anche dove sono le chiavi di casa… se vuoi vai…ma ti conviene correre…a quest’ora avrà sete e bisogno delle sue medicine. Io sono libera. Vado via stasera. Addio.-
Nella busta ovviamente c’erano i nastri. Forse pensava che in un futuro avrei potuto pretenderli.
L’ho guardata, immobile, cavalcare la luce che sbatte sui sassi.
Ogni donna c’infonde nel sangue qualcosa di nuovo,
ma s’annullano tutte nell’opera e noi,
rinnovati così, siamo i soli a durare.
Siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori
– noi, gli uomini, i padri – qualcuno si è ucciso,
ma una sola vergogna non ci ha mai toccato,
non saremo mai donne, mai schiavi a nessuno.
0 Risposte a “Ore 23 (parte seconda)”