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“Invisibile” di Carla Vasio

invisibile.jpgCredo di essere stata fortunata nelle occasioni – volute o casuali – che mi hanno fatto conoscere dei libri. Non ricordo delusioni. Quando inizio un testo lo affronto molto seriamente, mi ci immergo, lo scruto in profondità, assaporo ogni frase, ogni parola, cerco di capire l’autore, ma anche di ritrovarci parti di me stessa.

Qui ringrazio l’amico Franco Porcelli, che mi ha proposto di parlare di “Invisibile”, che rispecchia Carlotta Vasio come la conosco io: sensibile e delicata, e insieme rigorosa e forte.

Il nostro primo incontro è stato di qualche minuto, per la strada, più di un anno fa; un incontro a quattro, io e lei figure di margine. Non ci siamo riviste fino a questa estate, inizialmente in momenti occasionali – incrociate verso il mare o per il Corso, all’inaugurazione del Foro Annonario -, ma ci siamo sentite presto in sintonia ed è nata una profonda amicizia. Quando ho scoperto che questa Veneziana, che risiede a Roma e che ha adottato (direi con passione) Senigallia, è una scrittrice, mi sono riproposta di leggere qualcosa di suo. Empatia? Carlotta mi ha regalato “Invisibile”.

Ambiente del libro: Senigallia; protagonista: Viviana, una donna con doti insolite, nota a molti, forse “scomoda” per la sua particolarità. È il resoconto di una intervista… romanzata, ricco di osservazioni, riflessioni e sollecitazioni.
Non inganni l’aspetto “esile” del volumetto – non è “leggero”; né l’incipit oscuro scoraggi la lettura – la scrittrice aiuta poi ad orientarsi nello spazio reale con sparsi accenni concreti; non vi si ricerchino pettegolezzi – da parte dell’autrice c’è un gran rispetto umano e una sospensione di giudizio quando non condivide.

Conoscere Carla Vasio e capire a quali luoghi si riferisce nel racconto (anche quando, anziché espliciti, certi riferimenti spaziali sembrano criptati) forse mi hanno privilegiata nella comprensione rispetto ad altri lettori. Consiglio questo libro, ma avviso che è per una lettura paziente e “fiduciosa”, non certo frettolosa e superficiale. C’è una diffusa attenzione per persone e natura. Unico rammarico, che sia sfuggito qualche refuso di troppo (ma io sono una pignola perfezionista…).

Ed ora qualche mia impressione mentre leggevo.

pag. 7 “Se scendessi i due gradini (…) ” parla di un giardino vero, microscopico ma eclettico, che forse il proprietario ha voluto e mantiene così per tener vivo il ricordo di una bella esperienza giapponese.

pag. 11 “in questo mondo di ovvietà, di convenzioni, di contratti, le eccezioni pagano il prezzo di una solitudine estrema.” Vi ritrovo i motivi di due libri che amo molto: “Il piccolo Principe” (la mia seconda Bibbia) e “Il gabbiano Jonathan Livingston”. E ancora “Solitudine e silenzio”: anch’io amo il silenzio e star sola non mi pesa affatto, ma alla serenità del mio stato mi si affaccia contrapposto quello tragico della protagonista di “Rapsodia di agosto” di Kurosawa.

pag. 13 “Qualcuno ha preparato i bicchieri, poi mi ha attesa seduto nella poltrona simmetrica alla mia (…) due poltrone uguali che non hanno cambiato né posto né orientamento nel corso degli anni” e ancora a pag. 14 “È così che una mano calda appoggiata sulla mia” è proprio di Carlotta: sono accenni intimi, riesce a dire in modo estremamente riservato, senza mai svelare neppure il nome del compagno.

pag. 19 “Portavano i canestri da intrecciare, la lana da sferruzzare, sedevano intorno all’aiola del fuoco dove intanto arrostivano le castagne.” e ancora a pag. 20 “quelle donne con i fazzoletti in testa, che spannocchiavano, intrecciavano, cucivano al calore dei ceppi accesi nel camino”: no, non si perdeva tempo allora, in nessuna famiglia, anch’io lo ricordo.
pag. 21 “aveva la bottega di falegname (…) e i bambini (…) a giocare con i ritagli di legno (…). Il figlio del falegname (…) si fermava ogni giorno ad aiutarli” poter entrare nella bottega del falegname era una gioia per me da piccola, ero sempre incantata dalle mani veloci ed esperte di Ivetto o Nicola, che lavoravano il legno: quanta magia nella pialla che scorrendo creava una scia di riccioli biondi, che ricadevano a terra in un pulviscolo di polvere e segatura, una Via Lattea inosservata… A narrare oggi la vita degli anni Cinquanta sembra di inventare una fiaba!

pag. 23 “È faticoso portare le bambole su per la salita (…) ma non si possono abbandonare” mi ricorda lo slogan dell’UNICEF: «Adotta una Pigotta», proprio come se fosse una figlia!

pag. 39 “se Viviana raccontando (…) non dubita (…) – ebbene, io sono disposta ad entrare nel suo racconto e a parteciparvi pur di seguirne la trama. Perciò non insisto a chiedere se (…)” e spiega apertamente a pag. 4 “Da parte mia con la massima discrezione, naturalmente. Che cosa andrebbe perduto di questo nostro colloquio pacato e intimo se io cercassi di violare con ostinazione razionale il ritegno di Viviana e il suo segreto?” ammiro questa cautela, rispetto, capacità di ascolto, tolleranza, sospensione di giudizio (se ognuno di noi ne usasse più spesso!…)

pag. 49 “Viviana è particolarmente devota al Cristo con la croce di vecchio legno e il corpo modellato in terracotta smaltata. Lo tiene appeso a una parete della sua stanza da lavoro per averlo davanti agli occhi nei momenti di difficoltà.” e a pag. 51 “«Bada – mi dice – qui non si fanno miracoli. Qui si curano le malattie e basta». Il suo atteggiamento pratico e scontroso mi rassicura, anche se mi rendo conto che (…) resta qualche cosa di non spiegato”. Ciò che esce dalla fisica, dall’esperienza ci affascina e intimorisce insieme, ci spinge in uno stato di disagio, non vogliamo rifiutare ma non ce la sentiamo di accettare. Una tal affermazione pratica ci sostiene, ci tranquillizza.

pag. 60 “Avrei voluto diverso: una famiglia tranquilla, un lavoro tranquillo, le giuste soddisfazioni. Ti sembra troppo?” Sai, Viviana, è il sogno di tanti, anche non dotati dei tuoi doni… Spesso giudichiamo gli altri senza conoscere, ma un proverbio dice “Sono difficili i perché delle cose” e Cocteau scriveva “Non si conoscono mai le ragioni / Né l’involucro interiore dell’anima, / Né quello che c’è nelle case / Sotto i tetti, / Tra le persone…”.

Pag. 6 “È nato presto in lei il presentimento che sarà inevitabile la rinuncia alle forme più semplici del desiderio. Una rinuncia mai del tutto assimilata.” Anche il Faust di Goethe esclama: Rinunciare tu devi, rinunciare!

Pag. 65 “«Io cerco di vivere in ogni istante – mi dice -. Magari senza grandi progetti, ma con la piena responsabilità del mio esistere e del mio operare.” Saggia modestia e retta coscienza! “Spesso, finita una giornata di lavoro, sono così stanca che vorrei scappare via, ma resisto perché riconosco la mia responsabilità di cui intendo rispondere fino alla fine».” Scappare via, rintanarsi, trovare un luogo sicuro è il sogno ricorrente di chi si adopera per gli altri e non si sente capito, e siamo in molti ad averlo provato e riprovato…

Pag. 67 “Con i pazienti guariti raramente il rapporto si prolunga (…) alcuni la salutano appena e altri se la incontrano si voltano dall’altra parte facendo finta di non conoscerla. Li trattiene la vergogna della propria malattia o l’imbarazzo di aver scelto un tipo di cura non accademica?” nella nostra epoca più che in altre (forse) gratitudine e capacità di chiedere scusa hanno un peso che grava notevolmente sul cuore dell’uomo, per cui lo si affonda piuttosto che liberarsene.

Pag. 79 “questo giardino riparato dal vento, armonioso e severo, ora deserto di colori e di profumi tranne per una rara pianta di lirriope che esprime con costanza le sue minuscole spighe viola ai piedi della cancellata. Un vago odore di salsedine arriva da lontano portato da soffi d’aria che muovono le foglie del prugno, del nespolo, dell’azzeruolo, del fico carico di frutti maturati troppo in alto perché arriviamo a coglierli.” È lo stesso giardino dell’inizio, che spesso accoglie Carlotta in estate, è poco più di un cubo che ti avvolge, ma agli occhi della scrittrice si dilata.

(Scritto apparso sulla rivista “Sestante” del luglio 2006)

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