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“Le opinioni di un clown” di Heinrich Böll

“Le opinioni di un clown”, di Heinrich Böll (prima ed. 1963 – ed. italiana Mondadori 2016, trad. A. Pandolfi, pp. 232, € 11,00)

di Silvia Argentati

Perdente, disilluso, con la testa incastrata nel passato, senza donna, senza soldi e senza lavoro, con il vizio dell’alcol e del fumo. Le sue uniche forze: l’ironia e il pensiero libero. Questo è Hans, protagonista indiscusso di questo romanzo scritto dal premio Nobel tedesco Heinrich Böll nel 1963. Il romanzo è una lunga riflessione interiore di Hans Schnier, clown in declino che insegue idealmente una donna che non c’è più; una donna che lo ha lasciato per sposare un cattolico e condurre una vita perbene.

I due mali da cui sono afflitto per natura: malinconia e mal di testa. Da quando Maria è passata ai cattolici, la violenza di questi due mali è aumentata.

Il libro è una fervente critica contro le convenzioni sociali e religiose e, al tempo stesso, è una profonda dedica d’amore.

La trama è costruita con un intreccio di flashback che permette al lettore di ricomporre, in modo non lineare, le tappe più significative della vita di Hans e della sua famiglia. La vicenda si svolge nell’arco di poche ore e viene narrata attraverso telefonate in cui Hans, con il mistico dono di afferrare gli odori tramite il telefono, chiede disperatamente soldi ad amici, conoscenti e familiari.

La sua è una ricca famiglia di industriali del carbone; la madre, donna fredda e avara, è presidentessa del Comitato centrale della Società per la conciliazione dei contrasti razziali, ma si circonda di ex nazisti ed antisemiti che dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno semplicemente indossato una nuova maschera da portare in società e che, attratti dal nuovo capitalismo e dal fervente boom economico, non hanno affatto preso coscienza degli orrori prodotti dalla loro nazione. Come marionette che “si toccano mille volte il colletto ma non riescono mai a scoprire il filo che le fa muovere”.

L’ipocrisia dilagante viene messa alla berlina da Hans, un uomo che scegliendo di fare il clown si è ritagliato una “zona di sicurezza ideologica” e di indipendenza. Hans, monogamo e miscredente, non si è voluto allineare, ha rifiutato di piegarsi al conformismo e al perbenismo e ciò lo ha condannato ad essere un perdente, un uomo solo, impotente, escluso e allontanato da ogni relazione sociale. L’atmosfera finale è pesante, non c’è riscatto, non c’è barlume di speranza nel futuro, ma una condanna inesorabile alla solitudine e all’individualismo.

Gli attimi bisognerebbe lasciarli così come sono vissuti, mai tentare di ripeterli, di riviverli.

 

Ringraziamo per la corrispondenza l’amica Silvia Argentati.

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