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Un ricordo di Alda Merini

In occasione della serata in ricordo di Alda Merini, organizzata qualche giorno fa dal Comune di Senigallia in collaborazione con la nostra associazione, LibriSenzaCarta, la poetessa di Falconara Matilde Avenali ha voluto lasciarci una testimonianza del suo ricordo e del suo incontro con la grande poetessa italiana. Una testimonianza molto toccante e piena di quel composto e sentito calore umano di cui solo alcuni poeti sono capaci.

Matilde Avenali ha consentito la pubblicazione qui sul nostro blog della sua testimonianza scritta, che vi proponiamo di seguito. Il testo verrà pubblicato nella raccolta “Biografie transitive”.

Ringraziamo l’autrice per il dono prezioso che ha voluto farci.

“Vuoto d’Amore”
Serata in onore di Alda Merini

Inizio dalla fine. Del resto, l’inizio comincia lì, dove qualcosa finisce. Anche la scienza si interessa alle particelle elementari, la matematica ci dice dei numeri infinitesimali, che precedono lo zero. E una piccola pausa intervalla e precede ogni nostro respiro. Quando si nasce, finisce un mondo e ne inizia un altro. Finisce un respiro e ne inizia un altro. Perché non pensare che dopo la morte, c’è la vita dell’anima?

Allora, improvvisamente è come raccontare una storia, anzi “la” storia, perché non c’è storia che sia solo personale, individuale, né umanità che sia solo massa compatta ed indistinta di esseri.

L’ultima volta che ho incontrato Alda Merini è stato poco più di un anno fa. Ero in Umbria, con mio marito, per una breve vacanza e già prima della partenza avevo avuto notizia di Gubbio Life: una serata di spettacolo in piazza, dove sarebbe stata ospitata e ulteriormente premiata Alda Merini. Con lei, presente sul palco anche Giovanni Nuti, musicista, cantante e collaboratore artistico.

E’ stata una serata particolarmente bella, perché bella la piazza, bella la notte d’estate e la luna piena. Bello il vento leggero che attraversava l’aria. Bella la musica, bella l’attesa di ascoltare Alda ed i suoi testi musicati e cantati. Prima dell’inizio, durante i preparativi tecnici per suoni e strumenti, mi sono avvicinata a Giovanni Nuti per salutarlo, ringraziandolo e complimentandomi con lui per il lavoro musicale sviluppato attraverso i testi di Alda e per la voce, per quell’incrocio artistico che mi aveva stupita e che rendeva ancora più appassionante e coinvolgente sia l’esito musicale che quello poetico. Alda, con la sua poesia, la sua stessa presenza, prevaleva indubitabilmente, ed inevitabilmente, sul tutto. Ci siamo lasciati d’intesa che poi, dopo lo spettacolo, se fosse stato possibile ricavare uno spazio, avrei potuto fermarmi a salutarla prima che si ritirasse nella sua stanza…

Come ho accennato sul blog di Librisenzacarta, non è stato poi possibile realizzare quel desiderio. Ma qualcosa è accaduto, che indelebile, indimenticabile, è rimasto: il sorriso di Alda, al mio saluto, il suo fermarsi lungo la strada, girandosi piano, per riprendere poi lenta il passo curvo appoggiato al bastone, nel procedere sottobraccio a chi l’accompagnava. Lei aveva assolto al suo compito, per quel giorno. Quello che di lei restava era collocato al suo posto.
Non c’era altro da fare.

Sulla scia del suo sorriso, permaneva quella particolare luce nei suoi occhi, quel bagliore vivace, capace di accendere un fuoco. Vicino, il suo sguardo acuto, penetrante, eppure già così lontano, intento a racchiudere il proprio mondo, il suo essere e consistere, la sua grandezza intrisa di tutta la sua fragilità, il non poter più darsi generosamente ma il doversi contenere, conservare anche nei movimenti, ed in ogni spesa di sé. C’era, nei suoi occhi, un trasparente compianto dell’altrui desiderio di incontro più che della sua condizione. Perché in quel desiderio riconosceva anche se stessa. Ma lei era già altrove… ritirata nel suo silenzio.

Ci siamo intese, senza parlare.

Era un poeta, ed essere poeti è avere il potere del silenzio, perché la parola spesso è silenzio, e il silenzio è la parola”. Sono sue parole, queste ultime, mai come ora così a lei aderenti, da lei dedicate a Giovanni Paolo II, nella raccolta “Affinità elettive”.

Nei suoi scritti, nelle sue poesie, è questo che accade, questa sua capacità di intuito empatico, di essere semplicemente con”(1).

Modalità che impedisce una classificazione della sua poetica, perché sfugge ad ogni definizione.

Da quel suo sguardo che ora conduce le mie parole a questo punto di vista, mi rendo conto che, per quanto soggettiva, questa collocazione dice già tutto il possibile della condivisone. Mi sto muovendo nella matrice dell’universale.

Tu senti me, io sento te. Questa è la struttura della vita e dell’amore: un flusso ritmico-energetico tra due esseri viventi, che crea appartenenza. Il significato originario della parola religione è “appartenersi”.(2)

Sono parole, queste, che vengono da studi scientifici tradotti in pratiche terapeutiche le più contemporanee.(*)

Lei, poeta, ha agito e praticato il loro significato molto tempo prima, in ogni su poesia, in ogni suo sudario, in ogni suo assenso a quel “dovere di scrivere” a cui sottostava, fin dal suo “dover dire sì ad un grande mistero”. Sono parole incarnate, nate accettando una vocazione, una chiamata che implica una pratica di auto-ascolto, a cui lei stessa apertamente invita con i suoi scritti.

Se penso alla sua nascita ed alla collocazione temporale di quel suo nascere “il 21, a primavera”, penso alla sua appartenenza a generazioni attraversate da una guerra devastante, da crudeltà inimmaginabili e bestiali, che, anche nel suo caso, hanno segnato la sua adolescenza e la prima gioventù della vita. Il contesto freddo dei rapporti, una cultura affettiva latente e superflua rispetto a necessità più strettamente legate alla sopravvivenza, tutto questo traccia un quadro sufficiente a delineare una fame non solo materiale ma primaria, di bene.

Questo contesto ancora oggi riguarda milioni e milioni di persone e tutti noi, indubbiamente, perché nulla può ormai nascondere il legame di ciascuno e ciascuno con il resto del mondo.

Il nuovo che oggi permane, nell’ambito della sanità pubblica, in materia di diritto alla salute non solo fisica ma anche psichica, si limita alla chiusura dei manicomi, ed al fatto che a mali estremi gli estremi rimedi non possono più essere individuati in forme e modalità di cura più oppressive e devastanti del male. Oltre ad interventi limitati di assistenza psicologia laddove è stato possibile aprire consultori.

Ma lei che ha subito il manicomio, senza sapere neppure perché c’era entrata, lei ha tratto da sé stessa il bene ed il male, ha risposto al dolore aprendosi, e trovando nella parola la sua cura, sulla via interdetta alla vita. Al tempo stesso, però, la sua capacità di parola prescindeva dall’esperienza manicomiale, era già un dono in sé presente.

Da una recente intervista rilasciata in un programma televisivo, ho poi appreso di come lei abbia compreso il punto iniziale della sua difficoltà intervenuto nel non riuscire ad accettare la nascita della figlia. Una difficoltà che le è costata dieci anni di manicomio per un trauma che trova radici nella sua storia personale, nella quale prende sicuramente rilievo l’esperienza di aver dovuto assistere, appena dodicenne, la propria madre che partoriva in condizioni a dir poco drammatiche, nel pieno della seconda guerra mondiale.

Ho trovato parole, nei suoi scritti, limpide come lame affilate da una precisione dello sguardo che trova oggi e troverà ancora sempre più rispondenza con ricerche e scoperte scientifiche che l’umanità ha maturato e che continuano ad essere maturate, e di cui la ricerca scientifica stessa potrebbe ben avvalersi a sua volta, quale supporto esperenziale del proprio lavoro…

Nel vuoto d’amore di cui ha scritto, grande era il vuoto di potere simbolico femminile che come donna ha patito. Non a caso parla della madre cosmica identificata anticamente dalla pietas collettiva in Cerere, che sostituiva per tutti quanti la madre naturale, fino ai tempi moderni in cui la Madonna diventerà figura così drammatica e secolare da resistere agli urti della Storia.

Non a caso, nella cura estrema della parola e nella ricerca del suo significato, precisa come la parola DIVENIRE , spesso da lei usata nelle poesie, significa” girare su se stessi in cerca della posizione fetale per sentire i battiti del cuore materno, battiti fecondi più per l’animo che per il corpo” (Reato di Vita, 1994 Ed. Melusine).

Quel titolo: “Affinità elettive”, per consegnare sentimenti così alti e profondi, la dice lunga non tanto per il suo richiamo letterario, ma sulla realtà viva di ogni giorno, dove è ancora rara la coscienza che, pur muovendoci tutti e tutte dentro la stessa matrice originaria (il mistero è origine comune così come tutti e tutte siamo nati di donna), quella capacità empatica di cui la specie umana è dotata si perde, è tutta da riconquistare, come una Terra Santa, una Terra Promessa, una fede innata nell’amore per la vita.

Questo nucleo vivo, palpitante dell’esserci, e dell’entrare in contatto con l’altro, ha una capacità espansiva fortissima, intensa. E’ una potenza, di cui l’essere è dotato. Perché l’essere umano è sì un animale sociale, ma prima ancora è una realtà affettiva,emotiva, pulsante, vibrante.

Leggendo Alda Merini è possibile percepirlo, farne parte, lasciarsi contaminare da questo ascolto profondo, che tanto sapere è capace di donare, riconducendo al proprio sé, al proprio centro.

Dopo aver accettato d’istinto l’invito di Antonio Maddamma, mi è apparso naturale riandare al mio primo incontro con Alda Merini, per ripercorrerne il senso, ritrovando un po’ anche me stessa. Del resto, proprio di uno scritto di Antonio “Cesare, Fernanda”, in memoria di Fernanda Pivano, apprezzando intensamente l’incrocio tra evento personale e storia che Antonio era stato capace di realizzare, così commentavo:

“Leggere non è senza conseguenze, a meno di non assumere la misura più consumistica e di superficie di un gesto e di un’azione comunque intenzionale.
Leggere è una “esperienza”.”

Aggiungo oggi che ciò che viene letto, è sempre come un participio passato, che nella lettura può però elevarsi alla sua massima potenza di significato, in una ulteriore possibilità di vita che attraverso la parola viene concesso di poter desiderare.

Alda dice che “il pensiero di chi legge poesia è aperto verso altri orizzonti”: da una poesia, anche solo da una sua parola che ci colpisce, possiamo partire per inventarne altre, per creare un universo immaginativo nuovo, nostro.

Partita dalla fine, il mio arco si tende dunque al mio primo incontro con Alda Merini, avvenuto nel 1994.

Lei era da tempo conosciuta ed aveva già ricevuto, l’anno precedente, il premio Montale, a cui vanno aggiunti molti altri riconoscimenti che non serve qui ricordare.
Io scrivevo da molti anni, in perfetto anonimato, anche scelto e voluto, devo dire.
E’ per me importante riattraversare il contesto di quel primo incontro, il suo primo libro letto, per restituire alla sua presenza quel particolare ed insostituibile valore transitivo di chi riesce a spingere la parola verso la libertà d’essere più pienamente sé stessi.

Quanto questa libertà, d’essere più pienamente sé stessi, coincida con la possibilità di conoscere sé stessi, è un ulteriore passaggio di grande spessore che varrebbe veramente la pena approfondire. Non è scontato questo passaggio, perché è una scelta adulta, una scelta di vita. Del resto, non c’è conoscenza di sé senza libertà, e viceversa non c’è vera libertà senza conoscenza di sé.
Quando si gioisce nel dire di una creatura appena nata : “e’ sana e libera, è questo che conta”, c’è sicuramente molta verità che mette in evidenza il patrimonio di cui ognuno ed ognuna consiste e di cui vive, ma quanto profonda si sveli questa verità avviene nel progredire della vita, nell’intervenire delle difficoltà, degli impedimenti e degli ostacoli come pure di fronte a tutto l’arco delle possibilità che si aprono alla percezione della propria sanità, intesa quale interezza d’essere, nell’esercizio della propria libertà.

Oggi, è sempre più acclarato come il concetto di salute non corrisponda all’assenza di malattia, ma invece alla capacità di essere in “contatto” con i motivi, le condizioni personali che hanno condotto o possono condurre alla malattia, nella consapevolezza che ogni condizione personale è un innesto di società.
Alda, nella scelta di accedere al proprio sapere, all’ essere e consistere della propria persona, del proprio sé più profondo, ha dovuto superare gli effetti devastanti di stimoli e schoc elettrici, ed una cultura emarginante, giudicante fino al limite dell’intolleranza. Non a caso, per suo stesso dire, la poesia può salvare la vita.

Per apprezzarla è dunque necessario ricondurre la lettura alla qualità di parola che Alda Merini ha praticato, scegliere alcuni squarci di conoscenza, alcuni punti d’incrocio o d’incontro, che permettano di rispettare e realizzare l’ambito della testimonianza. Non sempre la poesia è sentita come ambito di testimonianza, eppure nulla come l’arte comporta la condizione di essere testimoni del reale. Di quell’accadere che spinge lo sguardo oltre la siepe, attraverso varchi più o meno estesi attraverso cui la realtà è messa di fronte al suo limite rispetto alla dimensione dell’infinito in cui il reale si espande.

Ho presente, ora come allora, la percezione della presenza di Alda Merini come una forza, una potenza contemporanea capace di essere e di farsi “prossima” attraverso la sua storia, ai tratti biografici di un universo femminile sensibilmente impegnato nel portare ad emersione sedimentazioni di identità di genere spersi e sparsi nelle individualità separate e divise in rivoli di vita quotidiana e personale.

Era il 1994, altro secolo, altro millennio, ed Alda pubblicava “Reato di vita”. E’ arrivato questo dono, condiviso insieme a molte altre, durante ’esperienza di costruzione e gestione della Biblioteca delle Donne di Ancona, reso possibile dando valore alla nostra passione per la lettura, certamente non limitata al libro come oggetto.

Del libro come oggetto di pensiero e d’esperienza è stato invece fatto uso accurato ed intenzionale per nutrire l’anima e la coscienza/conoscenza di sé, della propria capacità e possibilità di parola. E sempre, ogni lettura prendeva rilievo nei rapporti ed attraverso la ricerca dei tratti biografici delle autrici e del loro personale legame con la scrittura. Tantissimi gli incontri di studio realizzati con autrici contemporanee. Oggi tutto il nostro lavoro è approdato a patrimonio comune per tutta la città e costituisce una sezione importante della biblioteca comunale del nostro capoluogo.

Percepire il proprio cammino come esperienza di soggetto individuale e collettivo, lavorare per liberare l’essenza del proprio esistere e desiderare, cogliere il valore delle differenze a partire dalla differenza originaria su cui si fonda l’umanità, è stato ed è sempre come una grande onda che spinge la coscienza personale e quella collettiva ad altezze di pensiero capaci di svelare altre terre allo sguardo, altri spazi di significato.

“Reato di vita”, come un grido capace di dire il giudizio che trasforma il dono (della vita) in una condanna, capovolge il punto di vista anche rispetto al paradiso. Perché svela l’inferno in cui la vita è costretta quando l’umanità non attende al suo compito: quello di costruire la propria felicità.

Questa vocazione inascoltata, o colta solo negli aspetti più immediati e materiali che ostacolano come una porta rocciosa la piena realizzazione del suo significato più profondamente universale, la Merini l’ha invece accolta, patita e, a mio avviso, realizzata cogliendone la sua vera natura, quella appunto umana e divina, nella sua scrittura, perché è una scrittura di vita. Spesso tratti narrativi biografici od autobiografici precedono o accompagno le sue poesie, illuminando ancora di più il suo dire.

Ho cercato dunque questo primo libro, questo primo incontro, ed ho ri-trovato con cura piegati alcuni angoli di pagina e dei foglietti con sintetiche parole ad indicare temi di approfondimento, e piccoli segni a matita che come le briciole di Pollicino, mi hanno riportano al percorso fatto.
Quelle briciole mi ricordano che sono state utili, tanti anni fa ormai, in Biblioteca, per una presentazione da parte mia di questo suo primo libro.

La mia meraviglia, rileggendo quei passi, così precisamente rintracciabili, facendo un po’ di attenzione, è stata multipla, direi, sia per la profondità di senso delle parole di Alda, sia per il risuonare di alcune parole in alcune mie poesie, sia per la possibilità ora di poter sentire tutto l’aspetto profetico del suo dire, fatto di saggezza antica, remota dentro ognuno di noi, che lei ha potuto ascoltare in virtù di una sofferenza che l’ha aperta maggiormente. Proprio là dove non poteva riunire sé stessa, né chiudere squarci di sofferenza, ha cantato l’amore, la gioia, e il dolore. Ha praticato una parola taumaturgica e visionaria, talmente libera da potersi permettere di dire “oltre” il visibile ed il tangibile. Ha attinto dai miti, dalle figure bibliche, dalle icone religiose, per dire il sacro di sé, umanamente incarnato e violato, che è il sacro di tutti e di tutte.

Ha voluto vincere il dolore con l’amore, sempre. Sempre.
Quando lei scrive d’amore, scrive sempre di un primo amore, perché ogni parola lo fa nuovo, ogni volta.

Dice infatti di sé stessa: “I critici mi hanno definita una poetessa che canta i propri amori, ma non è vero. Anche quando gli amori cessano, la mia mente continua a creare perché non è il vissuto di un amore a reggerla, ma un’etica di vita, l’amore della vita. C’è qualcosa che va al di là delle comuni conoscenze del disagio…: la fede che esiste un Dio d’amore di cui noi tutti siamo unica, incrollabile parte.” (Reato di Vita, Ed. Melusine).

Se avesse potuto incrociare il suo percorso con la ricerca scientifica che ha proceduto di pari passo, avrebbe lei stessa scoperto il vero più profondo del suo dire, niente affatto visionario se non per la ricchezza di immagini che lei ha saputo cogliere per rappresentare la realtà dei sentimenti e delle esperienze.

Ciò che viene a volte etichettato come ermetismo, in lei bisognerebbe fare attenzione a riconoscerlo come qualcosa a noi ancora ignoto, pur già appartenendoci.

Vivo questo incontro come un omaggio smisurato, certamente da parte mia in difetto, e comunque con la gioia di una opportunità, nel chiudersi di un cerchio, nel mentre se ne allarga ed innalza il disegno a spirale, come forse non sarebbe avvenuto in altro modo. Non posso dire…

La sua capacità di esposizione mediatica, insieme al suo saper collaborare con figure artistiche le più varie, anche in campo musicale, come sappiamo, mi permette di concludere questo mio saluto con la dedica che Roberto Vecchioni fece in occasione dell’uscita di una sua pubblicazione “Folle, folle, folle d’amore per te”:

“Alda è per molti versi consimile nell’approccio che altre grandi scrittrici hanno con l’amore: la Dickinson, la Achmatova, Saffo e soprattutto, direi, la Yourcenar. Ma in nessuna di queste, esclusa forse Saffo, c’è tanta potenza monotematica, maniacale, capillare. E come se Alda raccontasse l’amore a persona viva e ne seguisse dal risveglio al sonno tutti gli atti, secondari, usuali, profani, fino alla trappola che gli costruisce intorno e in cui prima o poi dovrà ben cadere.
È una cacciatrice insonne, incapace d’altro, incapace di disgiungere qualsiasi gesto, vezzo, ammiccamento, gorgoglio, parola da questa tentazione suprema, da questo gioco sacro. Quello che i giovani scopriranno leggendola in questa raccolta tematica è soprattutto un’identificazione immediata.”

In una sua canzone, dedicata ad Alda Merini, dice ancora: “Basta anche niente per essere felici. Basta vivere come le cose che dici e dividerti in tutti gli amori che hai per non perderti, perderti mai”.

Ed Alda ci saluta ora con queste sue parole, rivolte ai giovani, sì, e quindi anche a quell’età che permane giovane nella freschezza d’essere che ciascuno e ciascuna può, se vuole, coltivare:
“La poesia è leggenda specie in età giovanile quando ogni palpito del cuore e ogni conoscenza umana diventano filosofia dell’amore”.

10 dicembre 2009

Matilde Avenali

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Note:
(1) Silja Wendelstadt “La spiritualità del contatto” Estratto in parte dall’articolo di Silja Wendelstadt, “Die Spiritualität der Beruehrung” in Eva Reich / Eszter Zornansky, Lebensenergie durch sanfte Bioenergetik (Energia vitale attraverso la bio-energetica dolce), Kösel Verlag, München 1997. Copyright by Anima e Corpo 1997 ed Estratto da Donna & Donna, giugno 1997, n.17

(2) Ibidem

1 Risposta a “Un ricordo di Alda Merini”


  1. 1 Antonio Maddamma Dic 15th, 2009 at 7:52 pm

    Grazie ancora, Matilde.

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