“L’ultimo arrivato” di Marco Balzano (Sellerio 2015)
di Valentina Sordoni
Chissà se il pittore Angelo Tommasi dipingendo la sua tela “Gli emigranti” nel 1896 pensò mai a quanto sarebbe potuta essere tanto attuale più di un secolo dopo?
O forse credeva che il fenomeno emigrazione fosse circoscritto al suo tempo e a un’Italia da poco unita, appesantita dalla disperazione di uomini, italiani, pronti a imbarcarsi per ritrovare la loro dignità nelle Americhe o in Australia? Chissà .
Eppure, ormai varcato il XXI secolo, la storia sembra ripetersi, mostrando la propria ciclicità intrinseca, indifferente a qualsiasi considerazione umana.
Ce la ripropone Marco Balzano, vincitore del Premio Campiello 2015 con il suo romanzo edito da Sellerio “L’ultimo arrivato”, un vero salto a ritroso nel tempo per raccontarci il dramma dell’emigrazione infantile nell’Italia degli anni ‘50, quando migliaia di bambini erano disposti ad attraversare l’intera penisola da soli o al fianco di compagni improvvisati per costruirsi un futuro migliore.
A parlarci è Ninetto, un personaggio d’invenzione, con appena nove anni sulle spalle e una lucida consapevolezza che l’angolo di Sicilia dove vive – San Cono- non può promettere un futuro dignitoso, non può dare luce ai sogni.
I suoi genitori consunti dalla povertà non riescono a crescerlo e l’inguaribile malattia della madre pesa gravosa e indifferente su una sorte già segnata, sulla sua infanzia sciupata ancora prima di essere vissuta.
Da qui la scelta sofferta di salire su un treno per intraprendere un viaggio estenuante che si fa metafora di una speranza informe da plasmare.
Milano, la città cui approda e a cui guarda come a un’Itaca salvifica, si rivelerà presto invece un ambiente ostile e complesso, pieno di uomini e donne equivoci poco disposti a tendere una mano.
Milano, con le sue periferie cementificate, ovattate da un uniforme grigiore, è anche lo spazio in cui Ninetto ormai cresciuto sperimenta l’amore, il primo lavoro in fabbrica e le convulse attività sindacali, così come l’amicizia; ma è anche il terreno insidioso dove è facile scivolare in errori irrimediabili.
Il romanzo è un frammento prezioso della nostra storia italiana che ci viene restituito da Balzano attraverso un intenso lavoro di ricerca e documentazione, rifuggendo sterili compassioni e ridondanti accenti di pietà , così magistralmente privato d’inutili sentimentalismi narrativi per immergerci invece in una raffinata prosa realista capace di imbrigliare in un unico tessuto differenti temi di ampio respiro, come il valore dell’educazione, l’importanza della scuola e l’integrazione.
Balzano recupera la memoria di un’Italia non troppo lontana per essere cancellata e racconta il dolore silenzioso e composto di un Italiano, straniero agli occhi di altri Italiani, discriminato ed emarginato perché le sue radici primitive sono in un altrove meridionale, in quel Sud che tanto intimorisce e ripugna.
Quando insomma non era necessario arrivare dal Corno d’Africa o dall’Oriente esotico per avere il marchio dello «straniero», quindi del «diverso».
Ninetto è la sintesi di numerose storie reali di altrettanti dolori, la voce fuori dal coro chi si sente «reietto e squalificato a vita».
Ninetto è l’emblema di un riscatto cercato nonostante tutto.
Ninetto è l’immagine del fanciullo che per sopravvivere e non essere travolto da una sorte disumana lì dove la natura lo aveva partorito combatte e «nella lotta mette tutto se stesso», parafrasando una nota dello “Zibaldone” di Giacomo Leopardi, poeta particolarmente caro a Marco Balzano.
Un grazie all’amico Alessandro Morbidelli per questa corrispondenza.
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