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Lo specchio

Pubblichiamo un racconto di Daniela Rindi: “Lo specchio”.

Miroir di Christophe Moustier

Prendo il coraggio. La mia amica si sarebbe preoccupata di andare a prendere le bambine a scuola, mio marito avrebbe organizzato la cena… tutto a posto. ” Mamma, mamma, ma dove vai oggi?”. “Mamma va in un circolo letterario, una riunione d’artisti che leggono poesie e racconti, vado ad ascoltare delle belle storie”. Accettano la cosa, anche se mamma non si allontana mai da loro, ma mamma è anche un po’ strana a volte!

Mi dirigo alla piccola stazione, compro un biglietto e salgo. Il viaggio non è molto lungo ma porto con me un libretto, titolo “il Segreto”. Non ho voglia di leggere, sto in ansia, chissà se sto facendo la cosa giusta? La gente che passa mi lancia uno sguardo, quasi sorpresa di trovarmi lì. Di fatti non c’entro niente con questi pendolari vestiti goffamente, donne troppo truccate, o troppo poco, ragazzi con zaini pesanti e sdruciti, bambini piccoli in piedi, lo sguardo sperduto e la mano alla mamma. Sono una bella donna, elegante, ma non classica, dall’aria pulita e solare e non prendo mai il treno.

Arrivo a Termini, una passeggiata a piedi, il luogo dell’appuntamento non è molto distante. C’è odore di cibo orientale, molta cipolla fritta, mi prende una leggera nausea, sarà che sono a digiuno. Vado sempre ad acqua il giorno dopo.
Il numero 66, toh, guarda, mi ricorda qualcosa. Un gran portone ottocentesco mi guarda cattivo, mettendomi a disagio. Scruto il citofono, niente. Ho sbagliato, era il 66/a. Davanti a me una scala stretta che scende nel sottosuolo, squallida, il pensiero è scontato. Cerco con lo sguardo qualcuno che possa aiutarmi a capire se sono nel posto giusto, ma nessuno sembra accorgersi di me, quasi fossi trasparente. Una donna si sta servendo del caffé da un thermos, un’altra sta componendo un vassoio di pasticcini, una giovane coppia sta parlando a bassa voce, appoggiata al muro.

Cerco appigli leggendo i volantini sulla parete… i Dieci passi… da ripetere ogni giorno, come la Preghiera. Oddio! Sono finita in mezzo ad un branco di sfigati moralisti e pure cattolici! Mi decido e domando. Un’arcigna signora mi assicura che sono nel posto giusto, la riunione sta per iniziare. Capisco subito che ci sono dei rituali da rispettare, da setta. La situazione mi piace sempre meno. L’oratore annuncia l’inizio, è la donna arcigna. “Mettiamoci tutti in cerchio e recitiamo la preghiera laica… Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, la saggezza di conoscerne la differenza”.

Poi tutti seduti: “Maria, alcolista, oratore della serata, oggi abbiamo dei nuovi amici, con nuove storie da raccontare, ascoltiamoli…”. A turno si presentano, “ciao sono Paolo alcolista…. Barbara… alcolista, Rosa… alcolista…” tocca a me, “Elisa… punto!” Mi guardano tutti, ma come non sono una di loro? Colgo lo stupore e aggiungo…”scusate sono nuova, vorrei prima capire”.
“Il primo passo per risolvere un problema è ammettere di avercelo!” Risponde la donna arcigna. Si, è vero, infatti, sono qui, anche se continuo ad avere dei dubbi, stronza.
È vero che ho un problema, ma mi dai il tempo di digerirlo e di fare delle considerazioni!
Non mi faccio deprimere e mi metto in ascolto. Ho imparato che i maestri non sempre sono coerenti con quello che insegnano, l’importante è quello che tu riesci a capire e fare tuo. Le storie sono terribili, lancinanti, vere storie, di veri disperati, che hanno perso anche l’ultimo treno della vita. L’oratore è colui che ce l’ha fatta, che ha vinto, è un figlio di Dio. Tutti vorrebbero essere oratori.

In questa cantina, senza finestre, osservo i loro volti segnati, questa sera molti si siederanno, ancora una volta, davanti alla loro cara e consolante amica, la bottiglia e nient’altro. Sono impressionata, sconvolta, m’immedesimo, mi rattristo, come al solito mi ribello. In questo desolante panorama, mi chiedo con che diritto sono qui a giudicare, pur riconoscendo delle analogie con la mia storia. Io non sono ancora caduta in quest’inferno senza ritorno, è ancora una mia scelta, un libero arbitrio. Passo la parola, non me la sento. Ho la consapevolezza che pochi di loro ce la faranno. Torno alla stazione, la stessa strada, lo stesso odore di cipolla rivoltante… la stessa nausea… una tachipirina e domani si vedrà.

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