Rovi, Alma Spina (Eretica Edizioni, 2018)
di Frank Iodice
Rovi si apre con un incipit scandito dal verbo-chiave “ricordareâ€. “Mi ricordo†ripete l’autrice, “mi ricordo della casa in via Torinoâ€, “della faccia della maestraâ€, “di quel giorno che andammo a castagneâ€, “del cavallino a dondoloâ€. Il ricordo rappresenterà la chiave di lettura per entrare nell’universo emozionale di queste eleganti e sontuose poesie.
Gli elementi che si alternano sono vari e di varia natura, ora religiosi, ora naturali, ora, ma un po’ meno, psicologici. Alma Spina crea una raccolta di poesie dal suono onomatopeico, che sembrano imitare o affrontare lo stesso nome dell’autrice, nemiche o figlie di chi le ha create: i rovi sono fatti di spine, la spina ha generato il rovo o ne è parte inscindibile. Se la stacchiamo dal suo cespuglio morirà , eppure da sola è capace di pungere, fare male. Come fare dunque ad avvicinarsi così tanto da sentire l’odore di quest’opera senza farsi almeno un po’ male? Come tutte le opere letterarie, Rovi deve far male per far stare bene, deve attingere ai ricordi di ognuno di noi per aiutarci a risolverli. La poesia serve a questo, non a intrattenere.
C’è un verso che invoca un amore “tremendo, tremendissimo†che si presenta a noi con “le mani bucateâ€, imitazione in terra di Cristo che rende immortali queste righe, le benedice o le disprezza dal luogo in cui si trova e in cui andiamo a stuzzicarlo, noi poeti, curiosi esseri multiformi che non sanno stare in un posto senza pensare ad un altro, “nemmeno per pocoâ€. E questo accade perché apparteniamo a un’altra dimensione, eterea, celeste, parafrasando l’autrice, “noi non ci apparteniamoâ€.
E così che un essere umano, un essere amato talvolta, può assumere sembianze sacre e dissacranti, mentre la sua “bocca di biancospino†ci fa stare bene o ci fa soffrire, ci “porta in croceâ€. Per queste ragioni, io non so come definire la poesia di Alma Spina, non oso definirla perché sarebbe come metterle dei titoli, titoli che l’autrice bada bene a non usare: non si può incanalare un flusso così spirituale, forse finanche definirle “poesia†sarebbe eresia perché Cristo e la cristianità di noi tutti, quella della nostra cultura a prescindere dalla scelta di professarla o meno, sono così presenti e sviscerati in ogni riga, che si bastano, non hanno bisogno della nostra lettura, come bellissimi paesaggi che starebbero dove stanno anche senza la nostra auto che si ferma in folle lassù sulla collinetta dell’autostrada tentando di non far rumore per non disturbare.
Ringraziamo per la corrispondenza l’amico Frank Iodice
è quasi come l’avessi “visto”
questo dorato incipit lascia un segno appena visibile tanto è la voglia desiderata di capirlo farlo mio –
Allora andrò da Claudia e i farò donare il libro segnalato.
Grazie infinite intanto,
dario.