Qualsiasi bene culturale (non solo delle arti figurative) è da valutarsi come una unità integrata da molteplici elementi, i quali lo contestualizzano all’ambiente dove esso è stato realizzato. Essi gli permettono di passare in quella memoria condivisa, nella quale il cittadino riesce a rapportarsi più profondamente con l’opera d’arte, perché la comprende.
Cito come esempio una recente esperienza riguardante un quadro conservato presso il Museo Diocesano di Senigallia e che non suscita al primo impatto particolare attenzione. È una Adorazione dei Magi e il catalogo dice che essa proviene dal vecchio Duomo ed è attribuibile al baroccesco Cesare Maggeri: il visitatore guarda, legge e passa oltre e, tutt’al più, se ha un minimo di competenza in materia, solleva qualche dubbio sull’attribuzione.
Adorazione dei Magi della famiglia Arsilli, part.
Recentemente siamo riusciti a individuare in questo quadro il dipinto che, nel vecchio Duomo, era sull’altare maggiore della famosa cappella dei Magi appartenente alla famiglia degli Arsilli. Come quasi sempre avviene quando un quadro di tale soggetto è ordinato da un privato, Magi e paggi del loro corteggio hanno le sembianze di membri della famiglia committente. Se di conseguenza proponiamo il quadro come l’equivalente di una “foto di famiglia†degli Arsilli e in base ad altri elementi riusciamo ad indicare quando e perché essa è stata scattata (intorno al 1625), chi l’ha realizzata (Amico Altini probabilmente) e a dare un nome ai personaggi raffigurati, sollecitiamo il visitatore ad “entrare†nell’opera d’arte e a consentirgli una fruizione partecipata del dipinto.
Questo è ancor più vero quando a presentarsi alla considerazione dei Senigalliesi è una produzione pittorica sconosciuta ai più e molto copiosa, quale quella del nostro concittadino Giovanni Anastasi.
Il constatare con quanta indubbia perizia e con quali tecniche l’opera di restauro è stata attuata sarà sicuramente di grande piacere e interesse. Certamente poco coinvolgente sarebbe la diatriba che è andata avanti per oltre due secoli: l’Anastasi pittore è da ascriversi alla scuola bolognese con chiari influssi veneti o alla scuola romana? Mi chiedo se la soluzione di questo dilemma potrebbe farci penetrare meglio nell’animo e negli intendimenti del pittore.
Io ritengo che per l’interpretazione delle opere presentate in questa mostra siano appunto gli elementi contestualizzanti a dover suscitare maggiore interesse. Parlando nello specifico del Salone Mastai, definire chi ha commissionato il lavoro, quando, perché e come sono contributi fondamentali se si vuole “entrare†dentro l’opera e “comprenderlaâ€, anziché restarne al di fuori limitandosi ad una valutazione pur sempre “esteticaâ€, dotta o leggiadra che sia.
Antonio Maria Mastai (in futuro designato sempre come l’Abate Andrea) era nato nel 1656 e nel 1659 aveva ricevuto da uno zio materno una grossa eredità immobiliare nonché il titolo di conte Ferretti, che comportava l’obbligo di inquartare lo stemma dei Ferretti con quello dei Mastai. Al momento però i Mastai erano semplici nobili cittadini, sprovvisti di titoli araldici e di un qualsiasi stemma per quanto risulta da approfondite ricerche.
Nel 1681 l’Abate Andrea compì i fatidici 25 anni, età che lo abilitava ad esercitare di persona i diritti derivanti dai suoi beni. Proprio in tale data Giovanni Anastasi chiese di lasciare la casa dei suoceri ad Urbino per trasferirsi a Senigallia a causa di pressanti impegni di lavoro.
È tra questa data e il 1688 (anno nel quale dopo la morte del padre diventa il capo della famiglia) che Andrea matura ed attua l’idea di adeguare al nuovo status il palazzo un po’ severo che suo nonno Francesco pochi decenni prima aveva acquistato dai Bisconti. Ed è Antonio che affida a Giovanni Anastasi la committenza per la realizzazione del ciclo pittorico.
Che questo sia opera di un giovane in un ambiente di giovani (in casa c’è solo un altro maschio, di tre anni minore rispetto ad Andrea) traspare dalla prorompenza fisica dei personaggi rappresentati, dalla esuberanza delle giovani figure femminili, dagli evidenti rimandi erotici. All’interno del Salone Mastai si respira un clima di gioiosa e sana carnalità , cui contribuiscono anche le Sibille, presentate più come procaci modelle che come profetesse di arcani messaggi.
Come tutte le committenze anche questa ha lo scopo di inserire un casato (i Mastai congiunti ai Ferretti) in un’aura di prestigio e magnificenza, realizzando un veicolo pubblicitario primario per l’esaltazione della stirpe. Purtroppo ci sfugge un elemento cognitivo importante: il significato complessivo delle scene raffigurate, lo scopo e il filo conduttore di tutta la rappresentazione; è per questo che diventa insicura anche la definizione certa del soggetto di alcune tele. Ancora nel 1978 una guida del Palazzo Pio IX mostrava una grande imprecisione, attribuendo alcune scene ad episodi del Nuovo Testamento o addirittura della storia romana; ora tutte sono considerate come ispirate a storie dell’Antico Testamento.
Per analogia con la committenza di altri cicli sappiamo che il pittore era l’ultimo anello, quello esecutivo, di un procedimento, a monte del quale era l’ideatore del soggetto da trattare. Esempio didattico è quello che celebra i Farnese a Caprarola: fu il poeta Annibal Caro a suggerire al pittore Taddeo Zuccari “le cose convenienti al luogo e fuor dell’ordinario, così quanto all’invenzione, come quanto all’artifizio†secondo i dettami di Paolo Giovio, per il quale nelle figurazioni pittoriche il significato recondito “è tanto più raffinato quanto più arduo ad intendersiâ€. Nel caso delle tele Mastai nei documenti consultati la chiave di lettura non è stata ancora trovata. Non si conosce nemmeno chi abbia ideato e suggerito il ciclo biblico. Più che l’Abate Andrea potrebbe essere chiamato in causa come autore o come intermediario presso un terzo erudito il fratello maggiore di Andrea, Francesco Filippo, che era certamente più a suo agio nella esegesi biblica in quanto ecclesiastico e Consultore del Santo Uffizio.
Altro problema irrisolto, non indifferente per la realizzazione di un eventuale catalogo, è chi sia stato e di quale autorevolezza colui che dopo il 1978 ha definito perché e a quali episodi biblici si riferiscono i singoli quadri.
Non posso non dissentire dalla frettolosa miopia localistica con la quale si è attuata una mostra che poteva essere uno straordinario evento culturale coinvolgente tutta l’area tra Misa e Cesano (Ostra, San Costanzo, Fossombrone e soprattutto Pergola, che nel loro insieme custodiscono una ampia e preziosa testimonianza dell’attività dell’Anastasi). La mostra attuale si traduce in un modesto atto riparatorio di Senigallia nei confronti del nostro pittore, con l’effetto collaterale di un successo (per nulla consolatorio) per chi, più di tre anni fa, grazie alla comprensione, alla fiducia ed alla lungimiranza di quel fine e competente intellettuale che fu Mons. Angelo Mencucci, riuscì a far disseppellire l’Anastasi dal cimitero dell’oblio.
Flavio Solazzi
socio individuale dell’ICOM – International Council Of Museums
Complimenti a Flavio per il suo lavoro!
Speriamo di poter godere anche del suo parlare ironico ed elegante in occasione del convegno che è stato annunciato per settembre (e se lo augurano anche altri: http://www.viveresenigallia.it/modules.php?name=News&file=article&sid=17476).
Nessuno può negare che abbia titolo a parlare!
http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=742755
…mah, avevo linkato l’articolo di Beatrice Perkins del 17 giugno…. ma cliccando dà la prima pagina del giornale di oggi…
Poco pratico il sito del Corriere Adriatico che non permette di visualizzare il giornale dei giorni precedenti, ma solo di indagarli con un motore di ricerca.
Proviamo così, ho fatto la ricerca ed è uscito solo questo collegamento al giornale di venerdì 15: http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=741888
No, anche così non si riesce a rimandare direttamente all’articolo.
Tagliamo la testa al toro.
Corriere Adriatico del giorno 17/06/2007, sezione “Cultura & Spettacoli”
Senigallia, la presentazione della mostra su Anastasi si tinge di polemica
“Quei leoni sono cani mastiniâ€
SENIGALLIA – Due cani scambiati per due leoni hanno reso particolarmente animata la presentazione della mostra del pittore Anastasi a Palazzo Mastai: protagonisti dell’ acceso confronto le dottoresse Montevecchi e Caldari della Soprintendenza dei Beni Culturali di Urbino (ente che si è occupato del restauro dei dipinti di Anastasi, ndr) e l’insigne storico senigalliese Flavio Solazzi, esperto conoscitore del pittore ritrattista ufficiale della famiglia Mastai.
Solazzi è intervenuto durante le relazioni delle due addette della Soprintendenza per effettuare alcune correzioni: in particolare lo storico ha fatto notare che gli animali raffigurati nelle panche di Palazzo Mastai non sono leoni, come indicato dalle due addette, bensì due cani mastini. La Caldari e la Montevecchi hanno dubitato della veridicità di quanto affermato da Solazzi che invece ha prontamente riportato le fonti delle sue affermazioni.
Solazzi da anni studia la storia di Senigallia e in particolare da diverso tempo ha intrapreso una ricerca sulla vita e le opere di Giovanni Anastasi: ha anche pubblicato i risultati dei suoi studi sul sito http://www.librisenzacarta.it. I suoi studi sono il risultato della meticolosa e precisa consultazione degli archivi cittadini, opera svolta con estrema professionalità da Solazzi.
Le due addette hanno quindi accusato Solazzi di parlare senza un riscontro preciso: forse sarebbe stato opportuno ammettere un errore storico, peraltro non particolarmente grave.
Fatto sta che l’accaduto ha lasciato perplessi i presenti che non si aspettavano certo tutto questo da una presentazione di una mostra. E che comunque ha reso “pepato†l’incontro con una polemica culturale che sicuramente avrà degli strascichi.
Particolarmente colpito dal diverbio anche Giovanni Martines, curatore di “Vivere il 900â€, che ha così commentato quanto successo: “Sarebbe opportuno tutelare meglio i nostri beni culturali, la cui cura andrebbe affidata a persone maggiormente esperte. E’ uno scandalo, poi, che un pittore di rilevanza come Anastasi non sia considerato nel giusto modo dalla cittadinanza: erano veramente pochi i presenti all’ apertura di questa mostra. Anastasi è un vanto per Senigallia e questa mostra va pubblicizzata in maniera più efficace. In più Senigallia dovrebbe valorizzare uno studioso come Flavio Solazzi che può essere considerato il maggior storico della città â€.
Chi volesse approfondire la conoscenza di Anastasi e delle sue opere d’arte può visitare questa mostra che rimarrà aperta fino al 30 settembre.
Le location interessate sono due e cioè la Pinacoteca Diocesana e il Museo di Palazzo Mastai. L’ingresso è gratuito.
BEATRICE PERKINS
Ho visto solo ora questo post !!!
L’articolo l’ho caricato sul sito, è possibile leggerlo qui:
http://librisenzacarta.it/?attachment_id=288
…hm
quel link è visibile solo agli utenti registrati… a quanto pare….
Proviamo se va meglio così… ecco il nuovo link
Basta dottore. Basta.
Basta con le sue elucubrazioni.
Basta con gli autoincensamenti, e con quelli dei suoi difensori – estimatori d’ufficio, più o meno blasonati.
Basta con i suoi mastini muniti di criniera.
Basta con le scoperte sensazionali.
Ci lasci in pace, almeno in questi periodi di canicola, già di per se insopportabile.
L'”Eco” delle sue furie estive passate alla cronaca per voce della cronista (?) del Corriere Adriatico, e sempre nel Corriere a firma del Dott. De Marchis (a proposito, è lui che l’ha introdotta all’ICOM come socio individuale? Quanto costa l’adesione annuale?), e poi, buon ultimo, l’editoriale del numero di luglio dell’Eco (che si commenta da solo), ci sta frastornando ed ha raggiunto anche i campi elisi.
Qui storici autentici come Ridolfi, Passeri, Ferrari, Siena, Tondini, Cucchi, Menchetti, Ortolani ed Alfieri, Polverari (da questo in particolare dovrebbe imparare che citare le fonti è essenziale) e Villani, probabilmente inorridiscono per aver accolto nelle loro file lo “scopritore dei mastini” recentemente promosso come “il maggiore storico senigalliese”. Si riscatti con un atto di modestia, assuma il ruolo di ricercatore, o meglio di topo di biblioteca, considerando che anche qui sarebbe in buona compagnia, insieme a Monti (che non cita mai le fonti), Mencucci, Fazi, ed il Benedetti, dai quali ultimi dovrebbe assimilare la modestia.
Infine mi consenta: se un medico si fa storico, può un appassionato di storia farsi medico, e dirle: “attento alla pressione?”
Giusto, in tempi di canicola si deve cantare “Dammi tre parole…”
I ‘cronisti’ locali, è evidente, non sono il massimo dell’affidabilità : Le consiglierei magari di rivolgersi direttamente alla signora stessa, dato che totalmente sua è la responsabilità di ciò che scrive, per sapere in base a quali fonti ha potuto sparare titoli che Flavio Solazzi non si è mai sognato.
Ci si fa anche dono di una bella prosopopea di storici, laddove basterebbe entrare negli archivi per incontrare anche il dottore che legge di prima mano. E cita più che chiaramente le fonti per articoli divulgativi.
Il tutto si commenta da solo. Un’invettiva malevola per squalificare un presunto avversario semplicemente insultandolo. Dalla quale si evince, per altro, che l’abito faccia il monaco…
“Infine mi si consenta” (eh eh): neanche il nome occasionale per questo sfogo è stato ben scelto da chi vi si nasconde.
Non si è mai visto un “dissacratore” difendere l’ordine costituito (qui coi suoi titoli riconosciuti da “storici/che autentici/che”).
Più che un dissacratore, chiunque lo giudicherebbe un sacrestano…