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Del principio della fine

Del principio della fine

Racconto di Guido Plutino


Un giorno, improvvisamente, il tempo finì.

Avvenne senza alcun preavviso, a un’ora qualsiasi di una giornata qualunque, deludendo così i catastrofisti d’ogni tipo esperti nell’interpretazione del calendario. Nessun cambio di millennio o altre date cariche di valori simbolici. Un normale giovedì pomeriggio, per di più piovoso, e un orario altrettanto insignificante, le 17 e 36.

L’evento giunse talmente inatteso da passare inosservato. Per qualche tempo (ma questa espressione, come tante altre, perse rapidamente il suo significato) nessuno se ne accorse. La maggior parte delle persone pensò a un guasto dell’orologio. Poi si fece strada l’ipotesi di uno strano black-out. Infine si ricorse a spiegazione più o meno scientifiche che chiamavano in causa influssi astrali e sommovimenti planetari. E dopo interminabili dibattiti e dotte disquisizioni su rimedi e conseguenze che occuparono a lungo (e anche su questo concetto non si riuscì più a trovare un accordo) ci si arrese, attoniti e impauriti.

Ma presto (in che senso?, ci si domandò ancora una volta) l’attenzione del mondo fu distolta da un secondo fenomeno inspiegabile. Il concetto di tempo compì un altro incomprensibile equilibrismo, una specie di piroetta che lasciò tutti senza parole. I momenti del passato cominciarono a tornare. Non avvenne più nulla di nuovo, ma tutto si ripresentò perfettamente al suo posto, le cose belle come le brutte, altrettanto prevedibili, immutabili, inesorabili. Dopo essere giunto al suo termine, il tempo prese a scorrere all’indietro. Dopo le 17 e 36, ora sulla quale tutti gli orologi erano rimasti fermi, tornarono dunque puntualmente le 17 e 35, seguite dalle 17 e 34 e così via.

Non tutti se ne dispiacquero. Gli abitudinari furono i primi a sentirsi rassicurati dal nuovo corso delle cose: nessun imprevisto, niente rivolgimenti di programma. La dote migliore divenne la buona memoria, le persone più stimate quelle in possesso di un archivio completo e affidabile. Vivere nel passato si trasformò in una vera e propria arte, non priva di vantaggi. L’intera organizzazione della società dovette farci i conti.

Dopo un’adeguata fase di acclimatamento, anche gli anziani cominciarono ad apprezzare quella bizzarra inversione nella corsa delle lancette. Ogni giorno che sorgeva (ma sarebbe più corretto dire ogni sera che calava, dal momento che le giornate cominciavano in piena notte) si ritrovavano un po’ più giovani, gli acciacchi si attenuavano, le schiene si raddrizzavano. Un brivido di vitalità scuoteva ospedali e ricoveri: anche le malattie infatti regredivano tra la gioia dei pazienti, suscitando preoccupazioni circa l’avvenire (concetto, del resto, ormai senza senso) tra industrie farmaceutiche e praticanti della nobile arte di Esculapio. Grandi timori sul futuro (o sul passato?) cominciarono a circolare anche nel fiorente mondo delle pompe funebri, messo di fronte alla necessità di una rapida riconversione. Non solo i defunti avevano preso l’abitudine di risvegliarsi e uscire dalle tombe, lasciando i cimiteri in disordine, ma era cambiato il modo stesso di uscire di scena. Lo dimostrarono subito i più penalizzati dal nuovo tornare del tempo, i neonati. I quali ripresero semplicemente la strada da dove erano venuti, con grande sconcerto delle puerpere, sparendo dal mondo senza lasciare traccia né spoglia mortale.

La sparizione dei neonati (e la grande agitazione di tutti i bambini più piccoli, che si riunirono in associazioni per studiare contromisure) non fu l’unico aspetto negativo. A poco a poco ci si accorse che molte altre cose regredivano fino a scomparire. Interi pezzi di città, edifici, strade. Frutti del progresso e della tecnologia. Sentimenti e relazioni familiari. Lentamente l’universo ripiegava su se stesso, in una silenziosa implosione.

Presto (!) si dovette fare a meno di molte comodità assicurate dal vivere moderno: surgelati, telefono, luce elettrica, acqua corrente, ascensore, riscaldamento centralizzato. Avvenimenti che suscitarono grande emozione, tanto da distogliere quasi completamente l’attenzione da altre questioni minori, come la sparizione delle leggi e l’annullamento di vaghi principi riguardanti l’individuo e i suoi diritti.

Andò avanti (o meglio, indietro) a lungo (!), tanto che tutti finirono con l’abituarsi al nuovo corso del tempo come se le lancette si fossero sempre mosse all’indietro e non ci fosse niente di più normale.

Finché, ormai senza nessun testimone, il Grande Pendolo tornò all’inizio della sua corsa. Giunto all’ora zero, dopo qualche istante di immobilità come per prendere nuovamente slancio, il Tempo ricominciò a scorrere regolarmente, come già era avvenuto innumerevoli volte. Avanti e indietro, costruendo e smontando l’universo, che viveva così infinite volte quell’unica vita. Apparentemente eterna, eppure tanto limitata.

***

L’autore

Guido Plutino

Classe 1959, una breve parentesi giovanile come attore di teatro, si è laureato in Filosofia, con specializzazione in Scienze Sociali e Umane. Approdo finale: il giornalismo economico. Attualmente scrive per “Il Sole 24 Ore”. In precedenza ha lavorato, tra l’altro, a “Mondo Economico” e alla “Lettera Finanziaria” de L’Espresso e ha collaborato alla Rai.
Ha pubblicato diversi volumi. È coautore della “Guida alle librerie milanesi” e del “Dizionario enciclopedico di Milano” (Edizioni Franco Maria Ricci). Per Il Sole 24 Ore (Collana “Come risparmiare”) è stato co-autore, nel 2007, di “Banche e assicurazioni: conti, mutui e finanziamenti” e, nel 2010, di “Come si leggono i mercati”.
In mezzo a questo tortuoso percorso coltiva, dal 1980, una passione per la radio (produce e realizza trasmissioni informative e culturali) e per la letteratura.

2 Risposte a “Del principio della fine”


  1. 1 Giacomo Verri Set 30th, 2011 at 10:17 am

    Veramente accattivante, questo racconto!
    Il mondo sembra diventare piccolino, il tempo stringersi come una lumaca schizzata di limone. L’uomo è splendidamente isolato nel terrificante ripetersi degli eventi (e quanti sono quelli che una persona non vorrebbe rivivere; si pensi al Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere!).
    Chi è il più disperato? Il primo uomo, Adamo? o il bimbo nato alle 17 e 36?
    Grazie per la bella lettura.

  2. 2 Valeria Bellagamba Ott 3rd, 2011 at 5:18 pm

    Grazie per il commento Giacomo! 🙂
    Il racconto, in effetti, ha una prospettiva curiosa ed originale.
    Un saluto!
    Valeria

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