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Alcune poesie perdute e una Commedia bruta

Pubblichiamo due poesie di Michele Bonatti, tratte dall’antologia “Giovani Poeti Leggono… Carlo Antognini”, edita da peQuod.

Michele Bonatti, di Piobbico in provincia di Pesaro Urbino ma universitario (facoltà di Lettere) a Roma, ha una poesia che ancora corre e fatica a fermarsi, fissarsi in metri e ritmi definitivi. È in evoluzione permanente come il suo autore che rivisita il paese (Piobbico studia la ‘bellezza’ del brutto) sostenendo che il vero brutto non è tanto l’asimmetria anatomica quanto il bruto, il selvaggio, il non evoluto.
Di qui il titolo del poemetto (La Bruta Comedìa) che corre sul binario linguistico di italiano e dialetto, con veloci intonazioni alla Spoon River e Commedia dantesca. Scrive in entrambi i codici e, laddove la lingua induce al grave pensato, il dialetto (neodialetto scandito all’oggi e reso dignitoso per rappresentare anche più impegnative prove letterarie) esprime la corporeità, la terrestrità che corrisponde al ‘terragno’ scatagliniano. Abbiamo insistito su questo poemetto perché ha una sua unità e compattezza ed è un testo originale di questa antologia. Anche le posie di avvio mostrano, anche se con meno visibilità, una certa struttura poematica.
(Fabio Maria Serpilli)

II

La mia testa è un pendolo stanco
tra l’esperienza e l’infinito.
Sul mio stetoscopio tossisce
l’anima del mondo, ma io mai
fui dottore, nemmeno quando
la vita dipendeva dalle mie stesse cure.

Io non odio e non amo, io…
Io semplicemente non posso.
Generato, non creato, della stessa
sostanza del Padre, riesco a partorire
solo pensieri in un sogno d’al di là.
Son fatto per non viver come voi,
miei fratelli, ma per tendervi le braccia
all’esistenza e nelle sue spirali farvi ruotar.
Scalzi bambini e indifferenti le orecchie
vostre in questo giorno, mentre in me
preme un destino che spesso traversa
col suo terreno contrappasso: come
capre le mie parole, ad espiar colpe
che lor non sono.
Fratelli, ho una disperata
voglia di umanità, ma
io non odio e non amo, io…
Io semplicemente non posso.

La Bruta Comedìa
(prologo)

Nel mezzo della notte
che quasi eterna pare,
vago per un paese che
più non riconosco.

Du èn Oreste e Piscià?
Lor dormn, dormn in riva
al fium, sognand ent el sogn
el vin corpòs del lor pasèt.

Ed io, sveglio nel sogno, noto
i monti che forgiarono i miei uomini.
Due vite liquide si intersecano
dove la pietra scandisce il tempo.

Du sèm giti a finì la mi gènt?
‘Na polvra aciéca j occhi
ent el letargh d’le funtèn;
stretti m’al nostr sacch en c’ém
el temp d strigna altr men.
Né il ricordo del pianto,
né un auspicio di comunione
.

Una strana nebbia confonde
i tremori presenti, li copre
solo la sgarbata eco
della morra contadina.

El Nerón ha mess el capèll e
io ho vendut la chèpra,
comprèt el mantel; mo era
fredd anca per chialtri, quei
che da venda c’evn sol
un por fringuell.
Né il ricordo del pianto,
né un auspicio di comunione
.

È forse incubo quel che io vivo?
È frutto d’Orfeo l’astio
tra i mei fratelli?

La nott di tempi è luntèna
cum el falch ent la balza.
Enn è ‘n sogn la brutezza
d’sti cristièni; vurìa prò
sveghiam lo stess ent en paes
d lunghi saluti e stretti.
Né il ricordo del pianto,
né un auspicio di comunione
.

Où sont les neiges d’antan?
Ma du èn le nevi d’na volta?

Vedo uomini muovermi contro,
bocca cucita e occhi piangenti:
ognuno di loro ha conosciuto la vita.
Urlano, poveri, i loro strazi,
solo qualcuno riesce a parlare.

Sém tutti morti, signor forestier,
e da brutti ém visut,
ignorand la blezza.
Pól sembrè strèn e da imbecilli
mo el nostr più gross pechèt
è statta, ent la vita, la confusión.

In fila di indiani, scalzi
bambini, la volontà dei morti
di redimere il loro passato.
Ciascuno voglioso di narrare
una storia, lo sbaglio maestro
di confondere ciò che era

Forma con ciò che era Sostanza.
Sém statti cojoni e imparciti
a èssa sinceri, a viva ent le sbaj
cunvinti del cuntrèri.
Ém datt del pezènt m’al brutt
e del signor m’al bell;
sol che ogg (a mo’ che
è sempr ogg), scuprim che
ent la mela bachèta c’era ‘l dolc
e c’la trista era c’la bella.

Ma perché sogno mi tormenti
come vita? Almeno in te
credevo d’esser libero,
almeno in morte speravo
la fine del tramonto.
E invece, in questo mio
viaggio tra i padri, scopro
la colpa perseguitarci,
l’umanità dopo la carne e
l’animo nostro ancora lagnarsi.

NO TREPASSING!

Non morire! Ecco la formula!
Bombardare la torre dell’orologio!
Per non dormire, vivere sempre
dentro il Castello, dove il Tempo
muove al contrario.

Mo ecch el prim ch’atacca,
fèt silenzie, per favór.

Traduzione: “Du èn…?”: Dove sono…?; “Du sém giti a finì…?”: Dove siamo andati a finire…?; “en c’ém”: Non abbiamo; “El Nerón”: Monte Nerone; “chèpra”: capra; “c’evn”: avevano; “vurìa prò sveghiam”: vorrei però svegliarmi; “Pól sembrè strèn”: può sembrare strano; “imparciti”: imbranati; “sbaj”: sbaglio; “cuntreri”: contrario; “atacca”: inizia.

– ©peQuod. Tutti i diritti riservati –

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