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Libero studio in libera rete

ovvero: se alla Soprintendenza interessasse un blog…

… e un blog su internet

“Non risulta che il suddetto abbia mai scritto sull’argomento, a parte alcuni articoli sulla stampa locale: Voce Misena, Sestante, l’Eco ecc., e un blog su internet…”

Questa è la citazione che Lorenza Mochi Onori, Soprintendente per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico delle Marche con sede a Urbino, ci regala in una nota al Corriere Adriatico del 24 giugno scorso, pur velata di pudore sufficiente ad eclissare il nome. Il suddetto è l’obiettivo dei suoi strali, Flavio Solazzi, medico emerito e studioso di storia senigalliese; l’argomento Giovanni Anastasi, concittadino pittore del Seicento le cui opere restaurate sono in mostra in questi giorni in Palazzo Mastai e nella Pinacoteca Diocesana, a Senigallia. Il blog su internet invece siamo noi, Librisenzacarta.it, che abbiamo Flavio come apprezzato collaboratore e Anastasi come oggetto di alcuni suoi scritti che costituiscono la più ampia raccolta che sia mai stata pubblicata sul pittore senigalliese.

Ecco perché la cosa ci riguarda, ed ecco perché la scrivente ci infila tra le righe dei suoi ragionamenti; dove è molto sdegnata per un episodio nelle settimane scorse discusso troppo e male: un supposto incidente accaduto la mattina dell’apertura della mostra, quando il dito del Suddetto Solazzi per tre volte osò levarsi a correggere le relatrici della Soprintendenza in un modo descritto nella lettera come animoso e inadeguato. Per fortuna ero presente e ho potuto apprezzare di persona l’andamento dello scambio: obiezioni irrituali da una parte, e anche agrette se vogliamo; irritazione dall’altra: una cosa civile in ogni caso e non certo la sgradevole bagarre o la inopportuna chiassata di cui scrive la Soprintendente, che peraltro non c’era.

Perciò non aggiungerò niente all’episodio in sé, che non riguarda il blog, e mi limiterò piuttosto alla difesa degli scritti anastasiani che abbiamo pubblicato, e del nostro lavoro di editing elettronico. In quanto alla difesa del Suddetto, non c’è nessun bisogno che mi spenda per lui: da uomo di spirito qual è, sa benissimo cavarsela da solo. A ogni buon conto Lorenza Mochi Onori fornisce un indice piuttosto dettagliato di affermazioni che io e i miei amici non riusciamo a condividere e rende in questo modo agevole il compito di mettere a punto alcuni pensieri che ci stanno a cuore.

Bloghiana defensio adversus Laurentiae Mochiae Honoriae accusationem

L’autorevole lettera si volge in primo luogo a circoscrivere il valore degli studi pubblicati nel blog in modo da ridurli a fatterello locale (cosa che non ci dispiace affatto ma non corrisponde alla natura del medium, che è prettamente volatile e tendenzialmente ubiquitaria), e a definirli di nessuna attendibilità scientifica.
Perché in essi non vengono mai citate le fonti delle notizie riportate, motiva la Soprintendente. Ma siamo sicuri? Bisogna che torni a rivedere. Prendiamo ad esempio “Copie o repliche?”, articolo apparso la prima volta su Sestante il 3 luglio 2005. Vediamo: la disamina delle doppie adorazioni della chiesa della Croce e di quella di Scapezzano è interamente fondata sulla lettera del contratto intervenuto tra il committente delle tele e il pittore, con esplicite citazioni virgolettate di brani che vi sono compresi. Copia di questo contratto è tuttora in mano dell’autore. Dov’è l’originale? L’articolo lo dice: negli archivi della Confraternita della Croce. Non ci si gabelli per antiscientifici se in una comunicazione del genere non viene indicato il numero del manoscritto, la busta in cui si trova, verso o retro della carta: “il documento c’è, è nuovo alle ricerche sul nostro pittore e chi vuole è messo sulle tracce per poterlo vedere“.

Mi sovviene a proposito un’osservazione letta sul “Breviario mediterraneo” di Predrag Matvejevic’: “Le note a pié pagina sono solitamente una parte del testo non assimilata”, sostiene l’autore; qui invece “le glosse che si seguono l’una all’altra sono mescolate nella stessa scodella”. È tutto chiaro adesso? L’articolo in questione non ha la forma della pubblicazione scientifica: ne ha però la sostanza, e questa per di più originale.
Una ricerca del tutto originale, condotta su fonti primarie, fatta per aggiungere conoscenze proprie e non per sonnecchiare sulle altrui è anche la ragione per cui gli studi anastasiani pubblicati in Librisenzacarta tralasciano qualsiasi riferimento a studiosi che, a titolo ufficiale e da decenni hanno studiato l’argomento e pubblicato contributi. Così scrive la nota.

Vede, Soprintendente, noi conosciamo quegli studi e ne abbiamo il più grande rispetto; ma si dà il caso che in quegli studi e in quelle pubblicazioni sia carente proprio la cosa di cui Lei lamenta l’assenza nei nostri: la documentazione. Dopo averli letti, ci troviamo a concludere che del pittore concittadino sappiamo poche cose e non più. Dove cercare dunque i documenti che mancano se non negli archivi, ossia attingendo alle fonti primarie? Così un ricercatore deve fare e così qui si è fatto. Del resto, in presenza di tanta pubblicistica in cui l’autore non fa altro che costruire la propria lettura su quella degli autori precedenti attivando una serie di citazioni a catena che non presentano mai niente di nuovo, si dovrebbe stimare chi invece fornisce documenti nuovi, da lui ritrovati; e magari bisognerebbe riconoscerlo, visto tra l’altro che, nel caso, autore ed editore non costano niente alla collettività, e non combatterlo o disprezzarlo per avere calpestato aiole dove solo gli angeli possono posare il piede. Gli studi da noi pubblicati non portano le citazioni da Lei ritenute indispensabili? È vero: possiamo dire con orgoglio che gli scritti da noi pubblicati sono in tutto originali, si basano tutti sulla consultazione di fonti primarie e non presentano citazioni seconde, o di seconda mano.

Altra accusa che viene rivolta all’autore degli articoli e indirettamente a noi è la supposta faciloneria con la quale vengono formulate alcune ipotesi interpretative dei documenti rinvenuti. Fantasiose elucubrazioni le definisce la nota. E anche qui sono andato a rileggere uno scritto: la faccenda dei leoni e dei mastini. Non so che dire. Se alcuni vedono una criniera dove altri distinguono soltanto drappeggio, e sentono ruggire dove altri giurerebbero di avere percepito latrati, mi arrendo all’imperscrutabilità dell’evidenza. Ma non dica che il ragionamento dell’autore non è valido perché gli difetta la consultazione di libri di araldica come lo Spreti, il Crollalanza o il Litta. Per favore. Le ricerche sui manuali e sulle enciclopedie le fanno i ragazzi delle medie, e non più neanche loro. Questo non significa ignorarli, ma chi fa ricerca va a vedere dove non ha guardato nessuno, non sul vocabolario.

Al di là di questo, poi, mi pare che la formulazione di un’ipotesi interpretativa (nel nostro caso sempre avanzata come tale), quando si basi su deduzioni motivate e stringenti, non sia stravaganza della fantasia ma operazione di logica induttiva; una specie di restauro e ricomposizione dei frammenti in modo che se ne possa trarre un senso compiuto. Né si può inferire che il solo formulare ipotesi sia di per sé operazione non-scientifica. Lamarck, il primo scienziato che costruì una lettura evoluzionistica del libro della natura, si difendeva (in Philosophie zoologique) contro i suoi detrattori dicendo che “una cosa è meglio dirla che non dirla”, e che “bisogna avanzare supposizioni anche se le cose non si possono provare. Il partito del silenzio non serve a nulla”.

Anche se viene da un medico in pensione che si dedica a titolo assolutamente personale a studi storico-artistici? Certo: e non mi metto qui a stilare un elenco di persone che si occupavano di qualcosa e meritarono per qualcos’altro, ché sarebbe molto lungo: basterà ricordare cosa è riuscita a fare la maestra sempre amata Luigina Pieroni per l’archeologia senigalliese (e non solo) se vogliamo apprezzare il contributo che può venire alla conoscenza da una persona colta e appassionata che non sia del mestiere. “Io sono un’archeologa in tutto e per tutto”, usava dire la Gigina senza mai varcare la soglia della presunzione, “soltanto mi manca la patente”.

Infine siamo contenti del fatto che la Direttrice Storica dell’Arte – Coordinatrice Benedetta Montevecchi (non manchino le maiuscole, per carità!) abbia avuto l’opportunità di individuare buona parte della produzione dell’artista senigalliese; ma non conoscendone le scoperte nel dettaglio, possiamo per converso citare quelle che sono occorse alle ricerche da noi pubblicate: il dipinto della Maddalena, per esempio. Anche quel ritrovamento era guidato da documenti originali.

… e c’è anche una proposta

Tornerei adesso a rivedere il film del giorno dell’irriverenza: immaginando che una delle relatrici nel concludere il discorso inaugurale fosse uscita con una menzione un po’ simile a questa:

… e oltre ai risultati delle mie fatiche, che vi ho fin qui esposto, vorrei ricordare quelli che provengono da ricerche autonomamente condotte e dall’attività pubblicistica di alcune testate locali. Questa Soprintendenza, in nome di un principio di sussidiarietà, ha acquisito le nuove conoscenze che le sono state fornite e, dopo un accurato esame, ha fatto sue quelle che riteneva più affidabili e probanti, e lasciato le altre al libero confronto delle diverse opinioni.

Superfluo sottolineare che una simile frase non è stata mai pronunciata e nemmeno, direi, concepita; in compenso nei giorni successivi si è sentito l’opposto: chi sono costoro, come si permettono, non hanno titolo, non hanno curriculum, non hanno metodo, sono in cerca di autopromozione e tutta la bella compagnia delle cose che si sono lette sui giornali. La reazione della Soprintendente, unicamente rivolta alla difesa della lesa maestà, ha preferito denigrare piuttosto che discutere, squalificare piuttosto che argomentare, disconoscere piuttosto che confrontarsi.

Dovrebbe sapere (noi crediamo che sappia) che non è stata per noi una folgorazione dell’ultimo momento accorgerci come deliberatamente venivano emarginati dalla manifestazione non solo i promotori e operatori primi del “ripescaggio” dell’Anastasi in quanto bene pubblico, ma anche le conoscenze che costoro avevano acquisito nel corso della loro ricerca. Peccato, verrebbe da dire, perché gli assidui degli archivi si conoscono tutti e negano perentoriamente che qualcuno di loro appartenga alla Soprintendenza. Poco male, in ogni modo, perché esistono le testate locali, c’è il blog, c’è la rubrica che il Suddetto tiene ogni settimana a Radio Velluto. In questo modo niente va perduto.

Peraltro non è una novità che le Soprintendenze siano ambienti poco aerati. Ho fissa nella mente un’immagine emblematica di questo stile: il restauro della fontana di Piazza del Duca. Schermata, impacchettata, impenetrabile alla vista, come se la trasformazione di un monumento della città fosse opera di ladri (non direbbe così il vecchio Brecht?) e non di una perizia che può dare di sé una notevole ammirazione. L’impiego di plexiglas trasparente avrebbe mostrato il lavoro nel suo divenire, e dunque nella sua verità.
Ma non è stando chiusi e disprezzando chi è fuori che esse difendono la loro qualità; anzi, in qualche caso ne toccano i limiti. Non è più tempo che le conoscenze rimangano rinchiuse nei sacri recinti. Il medico, l’avvocato, l’ingegnere parlavano una volta linguaggi incomprensibili a chi non fosse della professione, ma oggi dove c’è specializzazione c’è anche un pubblico capace di comprendere e di rendersi in qualche caso protagonista dei processi che lo riguardano. Il confronto delle scienze poi, si tiene sul terreno dell’interdisciplinarità, motivo in più perché si tenga all’aperto, alla vista e alla portata di tutti. Nessuno ci salverà la vita senza un nostro partecipe consenso. Nessuno nemmeno ce la rovinerà.

Chi coltiva interessi come questi lo fa spesso con una passione non minore a quella che muove l’addetto ai lavori, e acquisisce man mano una competenza che in specifici settori riesce addirittura superiore. Gli studi dell’arte e del passato si diffondono fuori dalle conservatorie e le scavalcano allegramente con nuovi portati; e la passione in loro è talmente sincera, e così priva di interessi materiali, che la vivono non come un’espansione dell’ego, o come una foga maniacale, ma come consapevole contributo alla (ri)scoperta della nostra cultura e della nostra biodiversità nel mondo.

Perché le istituzioni non dovrebbero attingere a tanta vitalità? Perché non dovrebbero guidarli verso scopi comuni, assisterli nella ricerca, mettere a disposizione gli strumenti necessari, utilizzare il loro contributo più o meno come avviene in altri settori nei confronti del volontariato sociale o di quello ambientale?
Il principio di scambio e di sussidiarietà è segno vero di cultura e il volontariato culturale uno specifico tratto della cultura italiana: la cultura delle città. Perché denigrarlo invece di valersene e addirittura di promuoverlo?

La proposta è già tutta contenuta nel discorso che mi sono immaginato. Chi si incarica di trasformarlo in proposta? Dobbiamo farlo noi del blog? e perché no? L’ascolto non ci mancherebbe.
Frattanto alla Soprintendenza diciamo: se servisse un blog per le loro comunicazioni, noi siamo qua. Mancando questo link, andremo avanti per la strada nostra. Nel mare della comunicazione non ci sono luoghi esclusivi, non ci sono tutori, non ci sono padri. Ogni cosa è affidata alla simultaneità e fa conto sul contributo dell’intera umanità in rete. Chi vi accede è libero di farsi un’idea ed è libero anche di proporla: il web è un vasto processo di autocorrezione multipla e progressiva. Vi troverebbero spazio anche le specifiche professioni senza dubbio; ma noi per il momento contiamo su quella intendenza orizzontale che ci permette di vivere il presente in tutta la sua ricchezza, in tutta la sua varietà.

Si convinca, gentile Lorenza: la conoscenza è un flusso, non un bene in affido. Anzi, se la cosa non fosse irriverente, le rivolgerei un appello: mandi un sua pensiero in calce a qualcuna delle nostre pubblicazioni. Prenda parte a questo gigantesco scambio di informazioni che si chiama rete. Non ci fu mai didattica più ampia ed efficace nella storia del mondo.

Leonardo Badioli

3 Risposte a “Libero studio in libera rete”


  1. 1 Marco Scaloni Lug 23rd, 2007 at 10:31 am

    Complimenti Leo!

  2. 2 Valeria Lug 23rd, 2007 at 1:46 pm

    Sì, davvero bell’articolo!

  3. 3 Gnafamo Lug 23rd, 2007 at 6:22 pm

    Mi preme sottolineare un paio di passaggi in questa pagina di Leo.

    “Dove cercare dunque i documenti che mancano se non negli archivi, ossia attingendo alle fonti primarie?”
    La risposta è dentro di te, solo che è sbagliata (Corrado Guzzanti).

    “deliberatamente venivano emarginati dalla manifestazione non solo i promotori e operatori primi del “ripescaggio” dell’Anastasi in quanto bene pubblico, ma anche le conoscenze che costoro avevano acquisito nel corso della loro ricerca.”
    Un cittadino potrebbe chiedersi dunque di quale Scienza (riverenza) si possa parlare in casi come questi. Il convegno e lo stipendio di Storica dell’Arte e Soprintendente (quante altre maiuscole?) sono pagati dal cittadino, che però non può chiederne conto. Nessuno d’altronde vuole rubarvi lo stipendio o mettere in dubbio che in altri casi ve lo siate meritato più che degnamente. Fare un passo indietro sarebbe utile a tutti, gentili signore, non trovate? Che male potrebbe fare la sana passione storico-artistica di “un medico in pensione”? Vi farebbe invece onore attivare un circuito di scambio con il territorio e suscitare ricerche e collaborazioni serie, da molti punti di vista.
    Visto che tutti posson giudicare,
    peggiomai sarebbe perseverare.

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