Prefazione de La congiura Fornaciari (capitolo 16, segue dal capitolo 15)
Del resto, i nostri capintesta stanno sempre sul chi vive quando c’è la fiera, se qualcosa dovesse andare storto. La esaltano a pieni polmoni – «Ah la fiera che gran cosa! Ci rispettano per questo in tutto il mondo!» – nei giorni dell’afa, quando fervono i preparativi, e i carpentieri tirano su coi tavolacci i vari punti vendita e issano i tendoni, e i mercanti fanno rotolare i barili e accatastano le balle dalla parte del Porto e di fronte alle logge. E tirano un respiro di sollievo perché questo vuol dire che la fiera si fa, che non è mai scontato.
Pazienza se qualcuno prende gusto a fare il disfattista, e va dicendo che ormai siamo in declino, non si fanno più quei bei pienoni di una volta, produzioni antiquate, troppa burocrazia e per giunta corrotta: ma il sabotaggio no, non si può ammettere. Come se non si sapesse che la colpa è degli anconetani che ci mettono i bastoni tra le ruote. Lo sapete, sì, perché hanno costruito il gran lazzaretto?
Ve lo spiego subito con un esempio neanche tanto vecchio. Cinque anni fa s’era sparsa la voce che c’era la peste in Albania e Croazia, con epicentro a Spalato; per questo la fiera non si poteva fare. Qui da noi. Ma in Ancona si poteva, perché loro avevano quel gran lazzaretto per le quarantene. Adesso dite voi se non era naturale pensare a quella diceria come a una macchinazione anconetana per fregarci la fiera. E dire che fino a quel momento s’era sempre cercato di andare d’accordo! Abbiamo protestato, ma da Roma ci mandavano a dire che la peste non era una furbata, che c’era per davvero; e piuttosto se la voltavano con noi, e parlavano di petulanza de’ sinigagliesi. Ma quale petulanza! Noi sappiamo come vanno queste cose. Per fortuna si sono adoperati il vescovo Honorati, l’arcivescovo di Urbino Monti che era anche lui di Sinigaglia, e il cardinale Leonardo, in modo che alla fine un accordo s’è trovato; e quella è stata l’ultima volta, da che mi ricordo, che un Antonelli abbia fatto qualcosa per la nostra città .
I nostri capintesta stanno anche sul chi vive per i crimini che possono succedere durante la fiera. E’ pur vero che c’è istituito un tribunale speciale che emette sentenza in tempi brevi, prima che la fiera sia finita. Certe cose però sono difficili da controllare, e tra queste le prime sono le bocche chiacchierone dei francesi e quelle strane idee che mettono in circolazione, essere liberi da tutto, e in tutto uguali, il nobile e il bifolco; la religione una fola per bambini. Ormai da qualche anno una vasta nuvolaglia proveniente d’oltralpe si sta avvicinando e promette tempesta per chi sa scrutare il cielo; se ne sono ben accorti i miei signori, e ne parlano tra loro con accanimento, deprecando i tempi:
«Siam giunti, per dire vero, ad una età in cui scrutinare si vuole ciò che deve umanamente credersi, e sottoporre all’esame del basso e limitato umano intelletto quegli alti segreti la cognizione de’ quali, riservata alla sapienza Divina, esigono una cieca e pronta sottomissione dell’intelletto stesso, non le di lui vane speculative!»
Galeotta di queste nuove idee era proprio la fiera. Si vendono libri alla fiera, sapete? Ed è normale che i francesi vendano libri francesi, e che ci sia naturalmente chi li compra. Normale fino a un certo punto, perché dalle autorità quei libri sono visti come il fumo negli occhi. Solo loro li possono avere, perché devono pur confutarli. Ma se anche la plebe si imbeve di simili idee strampalate, non esiste nessun lazzaretto che possa nel tempo limitarne il contagio. (continua…)
(Prefazione a La congiura Fornaciari, capitolo 16, segue dal capitolo 15, continua nel capitolo 17)
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