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Milk and honey to Santiago / XV

Milk and honey to Santiago

di Sara Moneta Caglio

 

XV.

Neil

 

 
Arrivava dall’Irlanda. Era dall’inizio del viaggio che ci incontravamo e sempre, nel suo aspetto, mi faceva pensare a lui. A Luca. Alla mia lunga convivenza, alla mia vita passata, a quello che ero certa sarebbe stato il mio futuro. Ma la vita cambia. La giostra gira. Il vento cambia direzione. A volte si sale bendati su uno treno che prima o poi si andrà a schiantare da qualche parte ed è solo un sesto senso, capace di avvertirci anticipatamente, che ci fa gettare giù da quel treno in corsa.
Ed è doloroso. È veramente un massacro all’inizio, quando ricordi solo i momenti dove desideravi costruire qualcosa di importante, insieme a quella persona.
“Luca, potremmo comprare quella casa…sembra perfetta per noi….sì, mi piace pensare di tornare a casa e trovarti lì, proprio in quella stanza ad aspettarmi”. Tutti bei discorsi…
Finché arriva un bel giorno dove tutto cambia e le mura di quella casa cominciano a creparsi e a sgretolarsi, come sogni infranti, fino ad accartocciarsi su se stessi, a formare un cumulo di macerie. Senza più spazio per respirare. Ma si intravede un tunnel che è l’ultima speranza a cui ci si può aggrappare per provare a ricostruire su fondamenta più solide.
Luca mi rispondeva sempre: “Ora sono stanco, non possiamo parlarne dopo?”. E così il “dopo” si è trasformato in sabbia, in cenere, in cumuli di problemi non risolti e ingigantiti dal tempo e dalla noncuranza.
Neil, non solo nel suo aspetto, ma anche nel suo volermi raccontare, mi faceva pensare a lui, a Luca.
Si aprì alla mia fiducia, al desiderio di dirmi davvero da dove arrivava. “Festeggio un anno lontano dall’alcool”, mi rivelò senza vergognarsi. “Un anno senza droghe, senza fumo e senza le violenze di un animo affranto e deluso dai suoi tormenti”.
Splendeva di luce, ora che era pulito. Il suo Dio lo aveva già trovato e lo ringraziava e continuava a onorarlo, genuflesso davanti alla croce che lo aveva miracolato. Era bellissimo, giovane, pieno di vita. Mi raccontò che senza le riunioni di chi lo avevo sostenuto non avrebbe potuto guarire dal suo vizio muto.

“Nessuna delle persone che ti stanno accanto ti può essere di sollievo, devi rivolgerti a qualcuno che abbia le competenze per aiutarti”.
In quel momento avevo deciso di raccontargli della mia esperienza, di Luca, della sua dipendenza, della sua incoscienza, della sua superficiale inconsapevolezza.
“Vorrei poterlo sentire al sicuro”, gli raccontai, “vorrei poterlo vedere a Santiago”, continuai, “vorrei potesse trovare il senso in qualche sorta di ricerca profonda. Vorrei potesse arrivare al nocciolo del problema”.
Potrebbe farlo qui, perdendosi in questi campi di grano, come Neil, come me.

Neil mi piaceva veramente, perché mi mostrava la voce della possibile rinascita, della salvezza che può essere di chiunque. Quella che ora aveva il suo nome e il suo volto.

Ma in quella notte in cui sarei stata pronta ad ascoltare di più della vita del mio dolce ragazzo irlandese, ero destinata a un incontro che non mi piaceva e invece dovevo affrontare per chiudere un altro capitolo incompiuto della storia della mia vita.

Io che in quel libro che stavo scrivendo per lui, come ghostwriter, avevo creduto. Lui che era riuscito a spezzare il mio animo impegnato nel progetto in cui mi aveva insegnato a credere, ma che poi aveva deciso di tradire e interrompere.
Il destino voleva farmi cenare vicino a un uomo che me lo ricordava terribilmente, quella sera, per farmi superare la delusione e l’insicurezza. La grande ferita subito si riaprì, quando da quest’uomo arrivò l’arroganza della sua voce. La difficoltà di ascoltarla e accettarla nuovamente. Fu quando scoprii che veniva dal suo stesso tipo di carriera, dalla stessa società, per la quale avevo scritto per tutti i mesi dell’inverno trascorso, che alzai gli occhi e non ebbi più paura di affrontare il futuro, di vedere al di là di quel mondo per me così infranto. Fu proprio quella sera che abbandonai anche quel mio passato da ghost writer e pregai e ringraziai per quell’incontro che non avevo cercato e che si era presentato per svelarmi un altro sigificato.

Quella sera avrei così tanto voluto averlo vicino, ma lui non c’era.
Non era lì ad accarezzare con lo sguardo la mia notte. Non era lì a sorridere al mio ultimo sorriso. Non era lì a chiudere le sue larghe palpebre vicino alle mie, rassicurandole sul domani.
Perchè sentivo tutto questo? Cosa significava veramente? Era ancora troppo presto per sapere, per capire.
Ora c’era qualcosa di miracoloso che si svelava ai miei occhi, al mio viaggio, alla mia ricerca. Era proprio lui. Lo trovai una mattina.

(Milk and Honey to Santiago, capitolo XV, continua nel capitolo XVI)

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