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Milk and honey to Santiago / VI

Milk and honey to Santiago

di Sara Moneta Caglio

 

VI.

Le sette di mattina

 

Le sette di mattina avevo preso la bella abitudine di scendere da casa con il caffè in mano da portare agli amici, compagni delle mie avventure clandestine.
La macchina si impregnava del suo aroma e riusciva a risvegliare i sonni corti e poco riposanti che appartenevano a quel momento della mia vita.
Era bello poter condividere interessi con persone cui tenevo davvero. Non era il tempo che ci univa. Quello era ristretto, vicino, non veniva da lontano. Era la sincerità, la naturalezza e la passione per quel che facevamo. Ci mettevamo a nudo ogni volta che ci incontravamo, ci serviva per non inquinare la purezza della natura che andavamo ad abitare. La rispettavamo con il desiderio di non contaminarla, di preservarla per i nostri passi futuri.
Quella mattina il tempo era incerto. Quando si parte non c’è mai nulla di definito. Tutto può cambiare sul sentiero.
Non sapevo ancora che una vescica potesse diventare una tortura tale da bloccare quasi la mia salita; non ne avrei mai più sottovalutato i rossori dei miei piedi.
L’andata verso il rifugio fu guidata dal sole, ma al ritorno il boato di un tuono annunciò l’imminente arrivo di un temporale che avrebbe scosso tutta la valle. Decidemmo di scendere di corsa fino alle case dove potevamo trovare riparo e scaldare i nostri vestiti inzuppati di pioggia.
Eppure mi piaceva camminare nell’acqua. Non cercavo nemmeno di sfuggirle. L’accoglievo, la volevo per lavare tutte le mie cicatrici, anche quelle del piede che mi stava affliggendo. Per prepararmi a giorni più duri: quelli che stavano arrivando.

(Milk and Honey to Santiago, capitolo VI, continua nel capitolo VII)

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