Poderoso, con le sue oltre seicento pagine, L’ultimo galeone (Castelvecchi editore, collana Narrativa, 2013, pagg. 649, euro 22,00), primo romanzo di Eugenio Giudici, già finalista al Premio Calvino dello scorso anno, a prima vista ti dà l’impressione di uno di quei palazzi del Cremlino moscovita, che secoli di storia sotto gli Zar hanno portato a perfezione per consegnarlo alla rivoluzione sovietica. E alle sue incrinature. Non è un caso che quando l’autore innalza il suo protagonista, Vladimir Vasiliev, solerte funzionario ispettore dell’oro di Madrid (che presto sarà per tutti l’oro di Mosca), al rango di ufficiale della GUGB con il nome di Sergej Malenkov, su indicazione del compagno maresciallo Voroshilov, l’incontro con il ministro dell’interno Ezov e il segretario personale di Stalin Poskrebyshev sia preceduto dal ricordo del suicidio di Nadya Allilueva, seconda moglie del leader sovietico. Quasi a dirgli che, anche per il suo nuovo rango di ufficiale, le memorie giovanili della rivoluzione andassero messe da parte e bisognasse agire secondo i nuovi canoni del regime, per non apparire un “traditoreâ€. Sono gli occhi di Stalin che ti seguono, compagno Malenkov, anzi piuttosto i suoi orecchi, mediati dagli occhi e dagli orecchi dei suoi molti informatori. Non fidarti di nessuno, men che meno di Orlov, compagno Malenkov. La questione dell’oro di Mosca è un affare che scotta, da sempre. E che ha solleticato il nostro autore: tutto nasce dalla sparizione di circa 100 casse d’oro (errore di computo o altro?) dal convoglio partito da Cartagena e sbarcato a Odessa fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1936. Quattro claveros del Banco de España e quattro navi, Kine, Kursks, Neva e Volgoles, con la seconda (costretta?) ad uno scalo marittimo a Creta, su cui Sergej Malenkov ha il compito di indagare. Eugenio Giudici ne fa il motore del suo romanzo, ottocentesco nella struttura, ma novecentesco nello stile e nelle tecniche narrative, un giallo moderno, dove ciò che davvero conta per l’investigatore, oltre a non bruciarsi, non è tanto scovare gli esecutori e mandanti di un crimine, quanto guardare dentro di sé: Vladimir Vasiliev, alias Sergej Malenkov, in un percorso che lo porterà dalla Russia stalianiana nel mezzo della Spagna agitata dalla Guerra Civile, fino alla Francia, terra d’elezione di rifugiati politici in esilio, scoprirà , a partire dalla propria vicenda personale, e grazie a un professore italiano, forse di parte, ma marxista, quanti diversi significati, e quali diversi fini, nasconde la parola compagno. Una lezione che più che alla Storia vuole parlare alla nostra coscienza di uomini.
Eugenio Giudici è nato nel 1950 e vive a Milano. È laureato in architettura, ha lavorato per tredici anni in ambito pubblicitario come art e copy, direttore creativo e amministratore delegato. Successivamente è passato al mondo della moda e dell’abbigliamento nel settore marketing, produzione, direzione industriale in Italia, Cina e Germania. Infine ha deciso di chiudere con tutto per dedicarsi a quello che da sempre voleva fare: affrontare la sfida di raccontare e di scrivere. Con la raccolta di racconti Piccole storie è stato finalista al Premio Calvino nel 2012.
Nelle due vicende politiche e umane narrate,l’autore non cede al pessimismo ,ma conduce il lettore a credere che l’umanesimo potrà salvarci. IL finale dopo il viaggio(filo conduttore verso la verità ) è salvifico ;purtroppo la storia ,la cronaca, l’oggi ci dimostrano che non è così. A mio parere lo scrittore fa bene a non proporci questa verità che annienta e non dà speranza. Il dubbio che via via si insinua nel personaggio principale e nel lettore, seguendo le indagini sia nella Spagna della guerra civile sia nella Unione Sovietica delle prime epurazioni staliniane è il motore di ricerca per una presa di coscienza che indica una via di salvezza .
Grazie per il commento!