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Il paese degli artisti

Il paese degli artisti

Racconto di Manuela Merli

C’era una volta una bambina di nome Agnese che sognava di emigrare nel Paese degli Artisti.
Fin da piccola i suoi genitori le avevano trasmesso l’amore per le varie forme dell’arte.
Il musicista preferito di Agnese era il Signor SiBemolle che Agnese aveva ammirato in televisione al Festival del Piffero dove aveva presentato La Signorina Sederona, un inno al sentimento al di là dell’esteriorità.
“Sarai il fiore che per me sboccerà ogni mattina, e non baderò alla tua chioma leonina… Sarai per me come incantevoli rose, e non baderò alle tue forme generose”. Un uomo con un animo tanto delicato avrebbe dovuto essere di esempio a tutti i maschi, che spesso non sapevano vedere al di là del proprio naso. Agnese sognava di incontrare il Signor SiBemolle che abitava nel Paese degli Artisti, in Via dei Cantori numero 1520.
«Mamma, come faccio a trovare il Signor SiBemolle?» chiedeva Agnese.
«Se ascolterai la buona musica, e sarai sensibile con le persone e con il mondo, un giorno arriverai nel Paese degli Artisti».
Agnese cantava a squarciagola la sua canzone preferita mentre andava a scuola, e tutti quelli che incontrava le urlavano quanto fosse matta. Ma Agnese sapeva che un giorno sarebbe emigrata nel Paese degli Artisti, dove le persone l’avrebbero capita.
Lo scrittore preferito di Agnese era il Signor Ossimoro, che nel suo libro Imprescindibili inutilità aveva scritto uno tra i versi che la bambina amava di più: “Dolore e felicità abitano nella medesima casa, basta avere il coraggio di abitarci”.
Agnese sognava di incontrare il Signor Ossimoro che viveva nel Paese degli Artisti in Via delle Figure Retoriche al numero 0.
A scuola la bambina, durante la ricreazione, recitava a memoria le frasi dei libri che più la colpivano, i versi del Signor Ossimoro e degli altri scrittori: le coetanee la guardavano come si guarda un alieno, e poi riprendevano a digitare col BlackBerry o a disquisire sugli accessori per i capelli. Ma Agnese sapeva che un giorno sarebbe emigrata nel Paese degli Artisti, e laggiù sarebbe stata capita da tutti.
«Mamma, come faccio a incontrare il Signor Ossimoro?».
«Se leggerai dei buoni libri, e sarai sensibile con le persone e con il mondo, un giorno arriverai nel Paese degli Artisti».
La ballerina preferita di Agnese si chiamava Signorina Marta Plié: era un incanto vederla volteggiare libera col suo tutù bianchissimo. Agnese sognava di incontrare la Signorina Marta Pliè che abitava nel Paese degli Artisti in Via degli Arebesque_Senza_Numero.
Quando Agnese era al parco e imitava le movenze di Marta Plié, le sue amichette ridevano di lei. Ma sapeva che un giorno sarebbe emigrata nel Paese degli Artisti, e laggiù sarebbe stata capita da tutti.
«Mamma, come faccio a incontrare la Signorina Marta Plié?».
«Se seguirai il buon ballo, e sarai sensibile con le persone e con il mondo, un giorno arriverai nel Paese degli Artisti».

Era inverno e il gelo ricopriva prati e automobili. Agnese passeggiava per il viale alberato vicino a casa quando si levò un vento forte che le sbatté sul visino un foglio di carta. Agnese lo afferrò. C’era scritto: Avanti dritto fino alla fine del viale, poi gira a destra e troverai un tubo. Agnese incuriosita seguì il percorso, si inginocchiò di fronte al tubo aperto e vi si infilò. Una girandola di colori, rumori e soffioni la strapazzò e la fece girare su se stessa. Si ritrovò seduta su un prato pieno di fiori, con il sole caldo e la primavera tutta intorno.
Agnese si alzò e iniziò a camminare. Poco dopo arrivò di fronte a un’insegna. Non credeva ai propri occhi. Il cartello recitava “Paese degli Artisti”. Si mise a saltellare di gioia e a fare giravolte. «Evviva! Sono arrivata! Evviva! Finalmente!».
Da una finestra che si aprì cigolando, una voce stridula urlò: «Cos’è questa confusione? Chi è là?».
Agnese interruppe i saltelli e l’euforia, e guardando la finestra vide un tale con in testa una cuffia di lana verde e blu e urlò a sua volta: «Buongiorno Signor Artista, io sono Agnese, e sono felice di essere arrivata nel Paese degli Artisti».
«Silenzio! Chi ti credi di essere? Questa è la casa dei poeti impegnati. Vedi di non fare rumore che qua abbiamo da fare».
Agnese, un po’ perplessa, non fece altre domande e proseguì in silenzio.
Camminando per le vie del paese incrociò un artista di strada che faceva capriole. «Buongiorno SignorArtistadiStrada, sa dove posso trovare Via dei…».
«Chi sei tu? Io non ti ho mai visto» disse il tizio che indossava un cappello a cilindro e lunghe bretelle a sostenere pantaloni a righe bianche e rosse.
«Sono Agnese, voglio incontrare i miei artisti preferiti, perché sono stata buona con le persone e il mio destino è vivere con gli artisti sensibili di cuore».
«In questo paese tutti si fanno i fatti loro. Io odio tutti quelli che passano per la strada, e quindi odio anche te».
«Ma se tu sei un Artista di strada, devi per forza amare le persone che passano per strada!».
«Ti sbagli cara straniera, la strada è mia, e se il mio lavoro è fare capriole, devo avere tanto spazio libero. Tu ti trovi sulla mia strada e intralci la mia arte, quindi sparisci e porta altrove quel tuo naso ficcanaso».
La povera Agnese un po’ rammaricata decise di fare da sé leggendo una a una tutti i nomi delle vie. Via dei Balli Popolari, Via del Tango, Via del Liscio… Dopo alcuni minuti trovò Via degli Arabesque. Al Senza_Numero, bussò alla porta di casa Plié.
Le aprì la ballerina che l’accolse con un: «Che vuoi tu?».
«Buongiorno Signorina Plié, sono una sua ammiratrice. La sua grazia mi ha incantato…».
«Senti, qua non si perde tempo. Ti pare che possa stare ad ascoltare le tue adulazioni? La mia vita è faticosa… Mi fanno male i piedi perché vivo sulle punte… Ci vivo di giorno e  ci dormo pure di notte… Quindi non chiudo quasi mai occhio, sono nervosa porca vacca, e digerisco anche male».
«Mi spiace…».
«Al diavolo i tuoi “mi spiace”, cosa me ne faccio? E poi cosa ne sai tu della mia vita? Io non la sopporto più, la mia vita, ma ormai non posso cambiarla» e detto questo scagliò un bicchiere contro la parete. Poi con una giravolta afferrò una statuetta di bronzo da una mensola e la lanciò contro il divano. Volteggiò fino a un candelabro, si girò verso Agnese e glielo puntò contro.
La piccola fuggì prima di essere colpita, per non trasformare quel viaggio tanto desiderato in un’avventura dal finale macabro. Continuò il suo cammino, e giunta in Via delle Figure Retoriche, dopo aver passato una casa che recava un drappo a lutto, trovò il Signor Ossimoro al numero 0.
Dal Signor Ossimoro c’erano libri per terra, libri sotto alle gambe dei tavoli, libri usati come portaoggetti, libri aperti con le copertine strappate, e pieni di scarabocchi.
«Signor Ossimoro, i suoi pensieri sulla felicità sono i più belli che io abbia mai letto».
Il Signor Ossimoro, che indossava una maglietta gialla attillata, pantaloni di velluto marrone a costine e grandi occhiali di tartaruga, iniziò a parlare degli altri scrittori che conosceva. «Ad esempio questo libro qua» e ne prese in mano uno tutto unto «l’ha scritto un tizio che studiava con me, stessa classe, stessi insegnanti. In realtà è il mio vicino di casa, si chiama Signor Metafora. Siamo amici ma lui per me non scrive così bene. Eppure vende molte copie, chi sa il cielo per quale ragione!  “La voce della solitudine gli faceva del male”: ti pare che questa frase sia degna di nota?».
«Il Signor Metafora ha detto? Quello che abita qua accanto?» domandò Agnese.
«Sì, io non lo trovo così originale come dicono gli editori…» bofonchiò il Signor Ossimoro senza distogliere lo sguardo perplesso dalle pagine unte.
«Nella casa qua accanto c’è un drappo a lutto…».
«E chi è morto?» chiese il Signor Ossimoro sollevando appena gli occhi dal libro.
«Il Signor Metafora probabilmente».
«Ah sì? Mi spiace».
«Ma non lo sapeva? Poco fa non ha detto che eravate amici?».
«Sì, ma in questo lavoro non è che si può essere attenti a tutto quello che capita intorno. Tornando ai miei scritti … A me sembrano più belli di quelli del Signor.. del povero Signor Metafora. Devi sapere bambina che quando mi capita di leggere uno scritto altrui che non ritengo alla mia altezza, lo correggo».
«Corregge le parole?».
«Le parole, i concetti… Se invece proprio non lo sopporto, strappo le pagine».
«Strappa i libri?» chiese la bambina ormai sconvolta.
«Certo. Per velocizzare queste mie operazioni leggo anche due o tre libri contemporaneamente. La realtà è che non trovo mai nulla di più originale dei libri che ho scritto io. Comunque tu bambina mi stai disturbando. Oggi avevo deciso di essere creativo e quindi non posso dar retta a nessuno. Se proprio vuoi un autografo te lo faccio ma poi vattene. Anzi, aspetta. Porta fuori da qui, ovvero a quel mondo di persone insensibili all’arte, un po’ di questi». E le piazzò in mano un pacco di biglietti da visita.
«Io…sa… da grande vorrei fare la scrittrice e…».
«Eccone un’altra! Oggi tutti vogliono fare gli scrittori, ma il talento? Si compra al supermercato? E poi…» e la squadrò da sotto gli occhiali «sei già troppo vecchia».
«Ma ho solo 12 anni».
«Gli esordienti li prendono sotto i 10 anni. In televisione solo i giovani bucano il video… e se non passi in televisione…».
«Mi perdoni ma vorrei farle un’ultima domanda» tagliò corto Agnese, che un’invettiva sul sistema televisivo proprio se la voleva risparmiare. «Da cosa è nata quella sua frase sul dolore e la felicità?».
«Dolore e felicità abitano nella medesima casa, basta avere il coraggio di abitarci» recitò con enfasi il Signor Ossimoro. Poi sospirò e disse: «Nacque da un’idea metafisica dell’astrazione del concetto di sofferenza. Che poi pensando al significato intrinseco di sofferenza, tramite una figura retorica, si deve spostare il concetto, spostare il baricentro, fissare il fulcro nel punto più lontano del senso che si vuole dare. Ora con questi indizi devi capire tu cosa vogliono dire i miei versi». Poi prese in mano un foglio: «Ascolta questa, l’ho ideata stamattina all’alba» e declamò a voce alta: «Il sole splende, l’auto è nel fosso, la tua anima è nelle mie saccocce».
La bambina, che ormai aveva un gran mal di testa, finse un complimento a quella frase incomprensibile e se ne andò alla ricerca  del suo cantautore preferito.
Suonò al numero 1520 di Via dei Cantori e si trovò di fronte il Signor Sibemolle, un tipo magro e curvo, con gli stessi capelli arruffati con cui riempiva le copertine dei dischi.
«Che vuoi? ».
Agnese dedusse che nel Paese degli Artisti nessuno conoscesse la parola “Ciao”. E nemmeno sulle buone maniere gli artisti parevano troppo ferrati.
«Mi chiamo Agnese. Sono venuta a conoscerla perché amo l’arte e lei è il mio artista preferito da sempre, direi un mito per me. La Signorina Sederona è geniale, lo dice anche mia madre».
Il Signor SiBemolle, che indossava una vestaglia di ciniglia fucsia e pantofole a forma di testa di gatto, stava appoggiato a un lungo tavolo di mogano su cui fumavano due tazze di caffè. Sembrava il momento della colazione nonostante fosse quasi sera.
«La sto disturbando?».
Il Signor Sibemolle fece una smorfia, poi disse: «Mi sono appena alzato. A proposito de  La Signorina Sederona, guarda lì» e indicò vicino al camino una scatola che conteneva tantissime lettere. «Sono tutti ringraziamenti di femmine che mi adorano per aver dimostrato attenzione e sensibilità verso la donna in quanto tale e non solo per la sua bellezza».
«E lei risponde a tutte le lettere?» chiese Agnese, ormai convinta di aver trovato almeno un artista sensibile.
«Che dici? Ti pare che io possa perder tempo con simili banalità? Se ne occupa il mio manager. E’ lui che ogni tanto risponde. Però mi mette da parte le lettere più assurde, così me le leggo per farmi due risate. Ma poi finiscono tutte quante nel camino. Parole bruciate nel camino, parole bruciate nel vento… potrebbe essere la frase di una nuova canzone…».
Mentre se ne stava assorto rimuginando sull’opportunità di riutilizzare quel verso, si udì un richiamo dalla camera a letto: «Paserotino Bemoleeee… Vieni qua portare caffè tua mmussaaa».
«Arrivo mia dolce musa!» e rivolto ad Agnese: «Scusami, c’ho una tizia di là che ho rimorchiato al concerto di ieri sera. Se ne stava sotto al palco a mandarmi baci… e ha voluto conoscermi a tutti i costi. A dire la verità non so manco come si chiama… però c’ha delle misure da sballo: saranno 90-60-90 o giù di lì…» e ridacchiò. «In effetti mica ho perso tempo a misurargliele…ah  ah ah» e ululando sparì in fretta nella camera da letto.
Agnese si allontanò a grandi falcate da quelle vie e da quelle case, con le mani sulle orecchie per evitare di udire altre trivialità, e a testa bassa per non incrociare più artisti. Appena intravisto il tubo che l’aveva condotta a quel paese strampalato, vi si gettò.
Una volta tornata a casa, decise di andarsi a comprare tanti vestiti nuovi e di iscriversi a nuoto. E per molti anni non volle più saperne di danza e canzoni.
Riguardo ai libri, iniziò a interessarsi solo a romanzi di fantascienza, che almeno sapeva da subito essere pieni di finzione.

***

Manuela Merli (Piacenza, 1974). Interista dalla nascita, appassionata di cinema e musica, a sette anni dimostra una spiccata predisposizione alla danza nell’imitare Heather Parisi in salotto. A otto anni una iperlordosi la costringe al nuoto che porterà avanti sino alla scoperta del divertimento del basket; ma una lussazione al dito medio la esorta ad abbandonare gli sport per dedicarsi al canto come corista nella chiesa di Sarmato, suo luogo d’origine. Durante il liceo scientifico fa l’educatrice in parrocchia. Si laurea in Economia e commercio mentre coltiva la passione del ballo (liscio, latino americano, tango argentino e boogie-woogie) ma anche dello yoga, del trekking e della scrittura, il che la porta a frequentare due laboratori di scrittura di Gabriele Dadati e la Bottega di narrazione, ideata da lui e Giulio Mozzi. Dopo aver trascorso alcuni anni in collina, vive a Gragnano, a pochi chilometri dalla ditta metalmeccanica da cui trae sostentamento come impiegata contabile.

3 Risposte a “Il paese degli artisti”


  1. 1 Marco M. Mar 19th, 2013 at 9:47 pm

    Trovo deliziosa l’elegante ironia di questo racconto.. Complimenti, veramente bello !

  2. 2 alessandra Mar 20th, 2013 at 7:46 am

    Ahimè, quanta verità! E comunque brava, perché hai raccontato tutto in maniera giocosa e ironica.

  3. 3 giorgia Mar 22nd, 2013 at 9:48 am

    Fantastico!
    un racconto leggero/profondo che mostra il lato oscuro degli artisti..ciò che spesso sono e che noi non vogliamo vedere abbagliati dall’aura di divinità che creiamo attorno a loro…
    bello!!!!

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