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Pietre

Pietre

Racconto di Simone Giorgi

 

L’alimentazione non ha importanza. Non a questo livello del discorso. E in effetti è stato un percorso lungo, raggiungere la felicità è un affare complesso. Bisogna conoscere i materiali, e aumentare i carichi a poco a poco. Questo è l’essenziale: la gradualità. Nessuno può reggere l’urto violento con un masso. Ma questo non significa che non possa sostenerlo, è solo che non può essere tutto insieme. E non è vero che ci vuole coraggio, per essere felici. Il coraggio è utile in ogni attività. E alla fin fine non ce n’è nessuna che non si possa condurre a termine anche facendone a meno. L’essenziale è seguire un metodo, la tenacia da sola serve a poco. Qui si tratta di programmare. Potenziarsi. Prendere un carico oggi, per poterne sopportare uno superiore domani. E studiare. Si tratta di comprendere come sia fatto un uomo.

Per esempio, poniamo anche che si decida di iniziare da una piccola ametista. O che so, un rubino. Io per esempio ho iniziato proprio da un rubino. Era in un vecchio anello di famiglia. L’ho rimosso dal suo alloggio, e ho cominciato con quello. Perché curare l’aspetto psicologico è di fondamentale importanza. Chi non capisce questo, non arriverà lontano. La bellezza favorisce l’impresa. Non subito, è evidente. Al principio è senz’altro una perdita di tempo. Da un punto di vista prettamente aerobico si potrebbe cominciare con ben altri carichi. Ma presto o tardi, negli inverni che seguiranno, o sotto i primi soli, avere qualcosa da ricordare, poter pensare ai propri inizi con affetto, si rivelerà decisivo. E io, posso ben dire, ne sono la prova vivente. È, per l’appunto, una questione di metodo. Poniamo infatti che si scelga di cominciare con, per esempio, un mattone. Ora faccio per dire, e per spiegare come senza programmazione non esista speranza di felicità. E quindi tralascio il discorso psicologico, o gli inconvenienti pratici di usare un materiale come il mattone. Mettiamo proprio che tutto vada bene, per ipotesi. Poniamo che il mattone venga adagiato sul petto. E poniamo sempre che sia collocato con la massima diligenza. Nel punto esatto in cui il peso ha ragione di esistere: né più né meno che sul plesso solare. Bene. Ora poniamo anche che non si verifichi nessun inconveniente. Il fatto è: e poi? Come procedere?

Ora ricordo che poco avanti parlavo di una piccola ametista, e prendendo a esempio un’ametista il ragionamento ne gioverà in chiarezza. Bene, si posiziona dunque questa ametista nel modo indicato. È in più una bella pietra, e dunque psicologicamente vantaggiosa. Ora, nessuno avrà problemi a mantenere una piccola ametista sul plesso solare. Dunque, tutto sembra iniziare nel migliore dei modi, la felicità è alla nostra portata. Ma ecco, l’assenza di programmazione fa precipitare tutto: è già il tempo di sostituire l’ametista con una pietra di proporzioni maggiori ma, mancando di programmazione, quel poveretto non ha che la sua ametista. Dovrà alzarsi, rimuovere l’ametista e ricominciare daccapo. E, se non vuole incorrere nel medesimo errore, procurarsi anche una terza pietra, e così via. Ma, non avendolo messo in preventivo, ora che l’intero suo animo e la sua mente si slanciano verso l’impresa felice, ebbene questo imprevisto arresto nello slancio avrà effetti disperanti. Disperanti su tutta la linea. Non scommetterei un sassolino sulla sua tenacia, adesso.

Però, quando ci si mette a programmare, per lo più si fa confusione. Ci si chiede come procurarsi il cibo, ripararsi dalle stagioni, le bestie feroci. Ma la fisiologia o i calendari o i manuali di sopravvivenza, ecco a questo livello del discorso la sopravvivenza non è un problema. Se mai lo è stata, non lo è più. E non vale la pena starci tanto a pensare. L’essenziale è l’uomo. Chi non conosce l’uomo, non arriverà mai al traguardo.

Per esempio. Poniamo che si siano raccolte tutte le pietre e le si siano disposte nel giusto ordine ai lati del giaciglio. Poniamo che la prima sia una pietra preziosa, anche da un punto di vista sentimentale, e che tutte le pietre, da quella piccola e preziosa all’ultima destinata a ricoprire il busto e le braccia e le gambe, siano state collocate in modo impeccabile, così che sia possibile rimuovere di volta in volta il carico a cui ci si è abituati, e assumere il successivo. Non è qui il caso di avanzare frivole riserve su come posizionarsi sul petto pietre di grandi dimensioni e dal peso maggiore di quello di un uomo robusto. È evidente che, con un po’ di senso delle cose e qualche conoscenza scientifica, non sarà impossibile predisporre dei sistemi efficaci. E, se non si fosse in grado, tanto varrebbe non arrischiarsi in simili imprese. Che la felicità sia riservata a pochi, del resto, non è scoperta recente. Insomma, poniamo che tutto sia stato organizzato alla perfezione. Né si può dire che le pietre manchino di gradualità, né che, al contrario, con l’errore tipico dei principianti, tra una pietra e l’altra vi sia uno scarto misero, il che, determinando il dilatamento dei tempi e la poca apprezzabilità dei risultati e non fornendo quindi allo spirito quelle soddisfazioni necessarie ad affrontare le sfide più ardue, alla lunga porterebbe anche i migliore a desistere. Bene, poniamo dunque che anche sotto questo aspetto tutto sia stato calibrato a opera d’arte: anche così non si arriverebbe a nulla. Poiché si è dimenticato l’uomo.

Ora, a questo livello del discorso, l’ignoranza dell’anima è fatale. Nel predisporre le pietre in successione lineare, nel prevedere cioè che si aumentino sistematicamente i carichi, si fa un ragionamento dozzinale poiché si prende l’uomo per un corpo e per un corpo soltanto. Ma, dio mio, se fosse un corpo soltanto, che bisogno avrebbe di essere felice? Qui si tratta invero di penetrarne i meccanismi. La felicità non può essere un percorso ininterrotto. Una serie di successi. Ha bisogno dei suoi passi falsi. Delle rettifiche. Degli indietreggiamenti. E in definitiva dei suoi fallimenti. Senza un po’ di umiliazione e di scoramento che mai sarebbe un uomo?

Allora, a questo livello del discorso, tutto sta a ordinare le pietre in modo che, al momento opportuno, il cammino si inceppi, e retroceda. E, a meno che non ci si voglia condannare all’arbitrarietà, è impossibile riuscirci senza appunto scienza umana. Ovvero senza poesia. È per mezzo della poesia che si giunge a questa pianificazione perfetta. Ora io ho dovuto presentire i miei moti, e si può ben dire che ho impiegato due vite a raccogliere e porre su di me queste pietre: e la prima è stata di gran lunga la più insidiosa. È stato allora che ho dovuto progettare pietra su pietra il mio futuro, e immaginare ciò che in seguito avrei sentito. Per questo, come da programma, allo scadere del primo anno avevo sul petto una pietra di dimensioni ragguardevoli. Era un calcare, a cui mi legano personali trascorsi. Ora il primo anno, come da programma, fu un anno di esaltazione: tutti conoscono le gioie dell’avventura. E chiunque avrebbe potuto supporre che al principio tutto sarebbe andato per il meglio. Ogni settimana cambiavo pietra, e talvolta persino con più frequenza. Così a sette giorni dalla conclusione del mio primo anno, come atto finale posi su di me questo calcare notevolmente più pesante della pietra che lo precedeva, esteso abbastanza da coprirmi tutto l’addome e il petto. E dietro al quale non rimanevano visibili che le punte dei piedi. Oltre che, ovviamente, le mie braccia. I giorni come logico scorrono rapidi e colmi di entusiasmo, e in brevissimo la settimana finisce. E con essa il mio primo, eccellente anno. Ora, solo una piena conoscenza dell’uomo, quale appunto unicamente la poesia può conferire, mi ha concesso di sostituire il grosso calcare con del tufo, tanto più leggero del primo da apparire risibile ai miei occhi. E certo, se era alla portata di chiunque prevedere l’esaltazione, posso ben affermare che è compito non da poco comprendere che, al principio del nuovo anno, e lasciandosi alle spalle quello vecchio con tutte le sue conquiste, non è procedere nell’azione che bisogna. Quanto potrà durare questa euforia? Un mese, forse due o più? Ma presto o tardi i carichi dovranno diminuire, ovvero diminuirà la frequenza con cui passare di carico: è evidente che, all’aumentare dei pesi, aumenta anche il tempo necessario al petto per abituarsi. Allora la corsa verso la felicità sembrerà rallentare inesorabilmente. E se è solo all’entusiasmo che ci si è affidati, ogni sacrificio sarà perduto. Per questo l’ultimo giorno dell’anno, come da programma, posi sul mio petto del tufo, tornando di fatto indietro di molti mesi. Era il tempo di riconsiderare gli obiettivi e spezzare lo slancio. Era il momento di vedere gli sforzi vanificati dalla propria mano, e urlare ingiurie verso se stessi. Bisognava rompere ogni inganno, saggiare la resistenza, addurre nuove motivazioni. Bisognava dirsi: sei pronto a ricominciare ancora?

Ora il peso sul mio petto è superiore a quello di molti uomini robusti. Le mie mani e piedi sono le sole parti del corpo che ancora possa muovere. Le mie mani sono le sole che possa vedere. Non ho altre pietre. Tranne una lastra di marmo di dimensioni e peso non particolarmente elevati, ma troppo distante perché io possa raggiungerla. Quando fu la volta di prenderla su di me, mi accorsi appunto che era troppo lontana. Piansi come un bambino e graffiavo la terra. Dovetti farmi forza e passare alla pietra successiva, in un sovrappiù di carico che mi fece quasi svenire. Soltanto una volta nella vita avevo provato tanta sofferenza e umiliazione: quando programmai questa sconfitta di avere per sempre davanti agli occhi una pietra che mi ricordi che nessuna impresa è al riparo dall’insuccesso.

Anche ora che non ho più pietre da porre sul petto, non per questo ho esaurito il mio programma. Sarebbe imperdonabile: che ne è di un uomo che ha raggiunto tutti i suoi obiettivi? E, d’altra parte, senza imprevedibilità la vita risulterebbe opprimente. Dunque nei miei programmi ora c’è ogni sorta di imprevisto. Per esempio, se un giorno una donna passerà di qui, le chiederò di mettermi lo smalto alle unghie dei piedi. Di certo lei me ne domanderà il motivo, mi domanderà che se ne fa dello smalto ai piedi un uomo sotto un masso che gli impedisce non solo di muoversi e di alzarsi, ma anche di guardarsi i piedi. Allora io farò finta di non averla udita per qualche secondo, poniamo quindici secondi, poi assumerò un’aria meditabonda, come se stessi riflettendo sulla sua domanda, valutandola, a questo livello del discorso, di poco o nessuno interesse. Poi risponderei, come tra me, che la felicità è inaccessibile a chi non sa cosa sia un uomo.

***

Simone Giorgi nasce a Roma nel 1981. Nel 2012 è finalista al Premio Calvino col romanzo Il peggio è passato. Ha da poco terminato la stesura del suo secondo romanzo, L’ultima famiglia felice.

 

 

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