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Le buone novelle

Le buone novelle

di Giacomo Verri

È già di sei settimane l’iniziativa di Ermanno Cavazzoni e di Elisabetta Menetti, che sta per diventare un libro (da Quodlibet), e che per ora è ospitata sulle pagine della «Domenica» del «Sole 24 ore», “Racconti stralunati dopo Boccaccio”, con la quale i curatori intendono fare il preambolo ai festeggiamenti – l’anno che viene – per i settecento anni della nascita del certaldese autore del Decameron.

Il progetto, presentato il 29 gennaio scorso da Cavazzoni sulle colonne del Domenicale, percorre così, in modo ‘stralunato’, alcune tappe del dopo Decameron, saggiando la tenuta per almeno due secoli ancora dell’eredità di Boccaccio e del suo libro maggiore, “una meraviglia”, scrive Cavazzoni, “che è rimasto e resterà nel tempo come un monumento indistruttibile”. Una meraviglia viva che fece robusto il genere della novella, nato già fresco ma ancora mingherlino – almeno in Occidente – col Libro de’ sette savi o col Novellino.

Il progetto propone pezzi di autori minori, riscritti ad uso dei moderni dalla penna maliziosa di bravi scrittori contemporanei. S’inizia col grande Gianni Celati che rifà il Giovanni Sercambi della novella De semplicitate. Di Ganfo pellicciaio (29 gennaio); seguono La puttana in convento, novella 48 della seconda parte delle Novelle di Matteo Bandello riscritta dallo stesso Cavazzoni (5 febbraio), Le scarpe di Madonna Modesta, Favola V della Notte V delle Piacevoli Notti di Giovanni Francesco Straparola rifatta da Ugo Cornia (12 febbraio), La verga pastorale, novella 30 ancora tolta dal Novelliere di Sercambi e riproposta da Simona Mambrini (19 febbraio), Scarafaggio porta consiglio, ovvero I diavoli coi lumini, 191a novella del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, riportata a noi da Jean Talon (26 febbraio), e, per ora, Il granchio tra le lenzuola, nell’originale fra moglie e marito, la 208a novella, ancora dal Trecentonovelle, finita sotto la penna di Ivan Levrini.

Son tutte novelle salaci e divertenti, veicolano verità relative che hanno l’alito dell’universale, senza avvedersene; sono tessere di un puzzle rizomatico, narrazioni pure e concentrate come un nervo scoperto, seguendo le quali sembra di tornare a bere alle fonti prime da cui scaturisce il racconto. Rispondono al nostro bisogno di narratività e lo fanno in una maniera così genuina da parer essersi fatte da sé, senza l’ufficio dell’autore. Le leggiamo, le mangiamo, queste novelle, ce le sentiamo rotolare tutte nei giri vogliosi della gola, come l’acquolina. Capiamo così che maestro sia stato Boccaccio.

E, attendendo di festeggiare degnamente il vecchio padre, banchettiamo con i figli e i nipoti e gli amici.

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