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Il cielo di Marte

Il Cielo di Marte

A volte capitano tra le mani libri del tutto singolari come Il cielo di Marte pubblicato dalla casa editrice Cattedrale di Ancona di Canalini e Santoni (e non è uno qualunque Massimo Canalini: sodale di Piervittorio Tondelli per molti anni e scopritore, tra gli altri, di Enrico Brizzi). Il pungolo alla curiosità infatti scatta già alla prima apertura: le pagine sono un misto di prosa e di versi. Chi sarà mai, ci si domanda, questo Bebo Druse che ha avuto il coraggio di cimentarsi con una tale forma? Correndo alla quarta di copertina si legge la seguente descrizione dell’autore: «è uno pseudonimo dietro cui si vela, e in certo modo letterariamente svela, un insegnante nato nelle Marche nei primi Settanta». Forse un vezzo, ai nostri giorni, o un eccesso di pudore, ma tant’è e gli concediamo la fiducia della lettura di qualche riga qua e là.

Si inizia con un ‘preludio’ di questo tenore:

Trema l’aria attorno
al condannato che ogni
riferimento volge in sogni
che accusano l’inverno
della propria vita.
Dal silenzio nasce la salita.

Alla prima seguono altre due oscure sestine con un’immagine finale che richiama immediatamente l’inferno dantesco, indirizzando definitivamente l’interpretazione del titolo:

[….] lo gettano dentro il lago
di sangue che lo sommerge:
s’ei sarà puro emerge.

Il primo dei due capitoli, Il viaggio, inizia tra le «trombe d’Apocalisse» e l’avvicinarsi delle «rotelle del carrello della terapia». Il protagonista, infatti, racconta in una sorta di flusso di coscienza la sua esperienza umana in costante ricerca di equilibrio tra follia e lucidità, a causa di una realtà che appare piena di segnali in codice (il sapone liquido “Heaven”, ad esempio) e impastata di contraddizioni nel suo attrarre e respingere contemporaneamente senza che si possa afferrare un criterio-guida per rapportarsi ad essa ed interpretarla in modo corretto. La ricerca di senso non può essere disgiunta dalla ricerca dei mezzi necessari a raggiungerlo.

«La dottoressa Antonioni era nella comoda posizione di chi la realtà l’ha accettata per convenzione, io ero in quella di chi ne aveva sentito parlare. I nostri colloqui non portavano ad alcuna conclusione. Volevo convincere i medici che io, nel ruolo dell’internato, ero quello che stava bene. Senza il continuo confronto con gli altri l’equilibrio è un pianeta lontano.» Equilibrio e squilibrio, come si vede, si alternano nei ragionamenti del protagonista che cerca spesso di trarre profitto dall’esperienza provando ad oggettivarla in sentenze di aspirazione universale.

Dietro la tecnica del flusso di coscienza traspare una forte urgenza nel dire e nel raccontare che sospinge piacevolmente la lettura. I fatti sono narrati in apparente disordine con sospensioni e riprese a distanza alquanto efficaci. Per fare un esempio, al brano citato poco sopra tengono immediatamente dietro, senza soluzione di continuità, parole di tutt’altro genere: «Al raduno religioso implorai una ragazza di aiutarmi chiamandola sorella e lei chiese a padre Emidio di aiutarmi. Parlavamo sulla porta di un casotto dove un ampio camino accoglieva la brace accesa. Fu lui a parlarmi di Loreto e dell’aiuto che avrei potuto trovarci. Un cacciatore gli portò rapido trenta euro, segno per me del tradimento del frate verso la giustizia divina e forse della mia salvezza. I clackson, come le trombe del giudizio, suonavano ovunque sicuri e spavaldi. È stata sicuramente l’estate più violentata dai clackson.»

Simboli di carattere religioso pervadono la realtà letta dagli occhi sfocati del protagonista, il quale si sente un po’ Gesù Cristo, un po’ Dante e un po’ anche come l’Ulisse della stessa Commedia dantesca che resta pur sempre sullo sfondo di questo racconto contemporaneo di caduta nell’abisso dell’abiezione. E così l’uomo si rivela lo stesso ad ogni latitudine e in qualunque millennio: si muove sempre tra l’aspirazione ad una purezza e ad un’innocenza che possono non giustificare gli errori a cui trascinano i più inconfessabili desideri terreni (tra cui infine prevale il terrore quasi fisico della dannazione!) o addirittura mettere in dubbio la liceità della stessa ricerca.

Il secondo capitolo, Dimensione allo specchio, è quasi completamente affidato ai versi che non sempre sono ben sintonizzati e presentano qualche errore tecnico, il che fa perdere un po’ di movimento e di mordente alla storia. La maturazione porta infine a un ridimensionamento delle istanze di osservazione della complessità del mondo interiore del personaggio e ad una serena accettazione della presente realtà come la più sicura tra le tanti possibili nella sua mente.

Vi è anche un Epilogo, ma esso appare più come un discorso che esplicita alcune conquiste del protagonista più che il finale di una trama. Completano il volume Tre domande di Lucilio Santoni all’autore, da cui si possono intuire alcune motivazioni delle scelte artistiche e il rivolgersi dell’opera «alle persone in difficoltà».

Il libro ha dunque ottenuto il suo scopo: farsi leggere volentieri fino in fondo nonostante le imperfezioni di un’opera prima. Ma soprattutto ha lasciato il segno una prosa niente affatto ordinaria, capace di comunicare con forza, passione e immediatezza tutta la sensibilità e l’urgenza di un mondo interiore problematico e fragile. Ci auguriamo di poter leggere presto lavori sempre più artisticamente maturi da parte di Bebo Druse.

1 Risposta a “Il cielo di Marte”


  1. 1 DARIO PETROLATI Dic 14th, 2009 at 7:16 am

    Tondelli – Brizzi
    destini lunghi diversi anche crudeli
    questi due cognomi mi hanno attirato e suscitato emozioni che non pensavo
    il tempo lungo e indifferente mi ha turbato pure
    perciò nè posso ignorare e meno scordare il passato troppo veloce
    debbo allora andare a scoprire e verificare :
    Il Cielo di Marte.
    dario.

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