Ripensare il ruolo e la forma delle riviste letterarie è l’obiettivo ambizioso che si è dato il Comune di Ancona nel 2002 intraprendendo la pubblicazione di nostro lunedì. Ideata e animata dal poeta Francesco Scarabicchi, la pubblicazione si caratterizza per la cura dell’impaginazione, per l’elaborazione grafica dei testi e delle illustrazioni ottimamente riprodotte su carta patinata, tanto che il progetto è indicato nell’ADI Design Index 2003, cioè tra i migliori prodotti del design italiano nel 2002 (lo si deve allo studio Lirici Greci di Ancona e, in particolare, a Francesca Di Giorgio).
«Una convinzione che lentamente s’è fatta strada è stata quella di considerare in gran parte compiuta una stagione del Novecento che probabilmente ha consumato alcune delle possibilità espressive affidate alla rivista letteraria così come la si è intesa fino a ieri». Nell’editoriale del “numero zero†Scarabicchi delinea così l’orizzonte di un «semestrale a tema che nasce, tra le rive del Franz Kafka dei Diari e Silvio D’Arzo (da cui proviene il titolo per un progetto di romanzo di cui scrisse solo la prefazione prima che la morte lo spegnesse a quasi trentadue anni), privilegiando l’esperienza d’autore, sia essa narrativa, poetica, critica, pittorica, grafica, fotografica, aprendo le porte anche sui vicini altrove (la musica, il teatro, la canzone).»
Le parole dei due autori infatti sostengono graficamente lo stesso titolo della rivista, un po’ colonne e un po’ argini:
«-Tu sei destinato a un gran lunedì!
-Ben detto, ma la domenica non finisce mai» si legge sulla riva kafkiana;
«La vita è come una strada fatta di tanti lunedì e sempre la speranza della domenica» segna la sponda di Silvio D’Arzo.
Scrive ancora Scarabicchi: «nella distinzione dei generi, nostro lunedì tenta di coniugare le diverse forme artistiche riducendo le distanze tra loro, frequentano “gli immediati dintorni†di ognuna, tra vita e lingua della testimonianza, lungo l’argine delle domande, in quel faticoso lunedì dell’esistere che guarda al presente del senso e al suo ieri facendo della domenica un orizzonte d’attesa o un peso».
La rivista propone quindi un’originale miscela di diverse forme artistiche ed è tale da presentarsi come oggetto unico essa stessa. Ogni numero è ricco di opere riunite attorno ad un singolo tema: il numero uno, ad esempio, si intitola “sceneâ€, il due “formeâ€, il tre “libri†e così via. Nelle pagine interne troviamo questo tema declinato secondo i più personali punti di vista degli artisti, i quali sono spesso accostati gli uni agli altri per una qualche affinità , per creare effetti e suggestioni inediti, per offrire la possibilità di una fruizione del tutto singolare.
Le forme letterarie ospitate sono estremamente varie e non vi sono rubriche fisse: racconti brevi, prose liriche, riflessioni e ricordi personali capaci di aprirci momenti di svolta nel percorso intellettuale dell’autore. Valgano per tutti il primo importante incontro col libro e la lettura, portentosi rivelatori della personalità del lettore quanto e ben di più della conquista della scrittura, del poeta Valerio Magrelli (l’approccio personale a John Donne segna il decisivo sconfinamento dalle proposte scolastiche; numero tre), e il primo corpo a corpo con la poesia di Pasolini durante una lunga malattia nella programmatica inattualità della provincia di quello che è oggi uno dei più attenti e acuti critici letterari contemporanei, Massimo Raffaeli (dopo aver divorato l’amatissimo Robinson Crusoe, tutto Jack London, i gialli e vissuto con passione il calcio, la boxe, il cinema, il jazz; numero zero).
Spesso non manca un’intervista a qualche personalità del mondo artistico: commovente il colloquio nel cosiddetto “numero zero†con Valeria Moriconi (dove Jesi è l’Eldorado di un’infanzia piena di libertà e si scoprono alcuni retroscena della guerra grazie alla piccola figlia del Commissario Prefettizio che diventò poi la grande attrice), ancora nel “numero zero†si legge l’intenso incontro con Claudio Piersanti (con i continui trasferimenti della famiglia che sono all’origine del senso di inappartenenza e frantumazione, ma che diventano anche una strategia, un’eccitazione per il trasloco, e nel romanziere continua reinvenzione del linguaggio) e nel numero quattro, interamente dedicato a Franco Scataglini e impreziosito da disegni del poeta e da versi inediti dai suoi taccuini, il ricordo di un dialogo avvenuto in un pomeriggio del 1990 tra Francesco Scarabicchi e lo stesso Scataglini sul “mare del tempoâ€. Citando a caso qua e là , inoltre, si possono trovare negli indici i nomi di Mary de Rachewiltz (figlia, curatrice e traduttrice dell’opera di Ezra Pound e poetessa anch’ella), Enzo Siciliano, Angelo Ferracuti, Umberto Piersanti, Andrea Cortellessa, Silvia Ballestra, Roberto Galaverni, Daniele Garbuglia e molti altri.
Allo stesso modo trovano spazio i componimenti di alcuni tra i più significativi poeti contemporanei: Antonella Anedda, Gianni D’Elia, Eugenio De Signoribus, Claudio Damiani, Fabio Pusterla. Ma vi è persino la possibilità di trovare e confrontare nuove traduzioni poetiche (Borges, Dickinson, Neruda, Garcia Lorca, Apollinaire, Yeats), il recupero di testi di varia natura (Pasolini, Penna, De Andrè), di illustrazioni (Mino Maccari, Osvaldo Licini) e di opere fotografiche (Mario Giacomelli).
Nella impossibilità di descrivere adeguatamente i tanti e significativi contributi anche nel campo della fotografia e della grafica, ci limitiamo a ricordare brevemente alcuni tra i nomi più noti già ospitati su nostro lunedì: Gianni Berengo Gardin, Mario Dondero, Valeriano Trubbiani, Enzo Cucchi, Walter Valentini. Per potersi rendere conto di questa ricchezza e originalità l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ancona ha messo ha disposizione di tutti in formato .pdf l’ultima uscita, la dieci, (per chi poi lo volesse, tutti gli arretrati possono essere richiesti gratuitamente all’apposito servizio: info@comune.ancona.it).
Una particolare menzione infine merita uno dei contributi più singolari, presente proprio nel numero dieci: lo spartito della musica composta da Giovanni Seneca per la poesia Marche d’inverno di Gilberto Severini.
Universale e locale infatti sono sempre presenti. Non viene mai meno l’intenso rapporto con la città di Ancona e con la regione Marche (a cui è dedicato l’intero numero nove), che ci permette di scoprire o di riscoprire luoghi d’elezione, di osservare scorci storici attraverso foto d’epoca (talvolta inedite ed appartenenti ad archivi privati), di cambiare prospettiva e confrontare le impressioni di chi qui vive con quelle di chi ne fa conoscenza per la prima volta.
Concludiamo il nostro invito alla lettura lasciando spazio alle parole del poeta salernitano Alfonso Gatto sul suo primo incontro con la scrittura e la riflessione sulla poesia, che può avere molto in comune con l’interrogazione di senso di tutte le forme artistiche (pubblicato per la prima volta in «Pesci rossi», a. XIV, n. 1, gennaio 1947, poi in Parole ad un pubblico immaginario, Pistoia, Via del vento 1996 e sul numero due di nostro lunedì): «Ho scritto la mia prima poesia a vent’anni in una stanza diroccata. Di là dalla finestra c’era il mare, pioveva dolcemente. Avevo visto per vent’anni le montagne chiudere il golfo e contro il cielo una casetta odorare del suo intonaco rosa che la pioggia le risvegliava. Tante sere io mi dicevo: “Dopo di me vivrà il mondo, chissà se altri guarderà questi colli e il mare col mio stesso sguardo e senza saperlo mi ricorderà â€.
Forse era amore questo desiderio di sopravvivenza. Forse era gloria. Forse era un viaggio di là dai monti – addio a mia madre, addio a me stesso rimasto bambino al balcone per salutarmi. Forse era morte – andare con l’ultima luce, rimpiangermi come io solo saprei rimpiangermi. […]
Noi amiamo la vita quanto più sentiamo di dover resistere alle sue impressioni, e durare, consumandola nel tempo e nella musica, affinché la nostra purezza sia come la spoglia del corpo ove abbiamo bruciato tutta la gioia e tutta la pena per non inaridire e per rispondere anche coi palpiti alla voce che sino all’ultimo ci desterà . […]
La poesia è una realtà che accusa il lettore e lo pone di fronte alla sua distrazione. Egli forse vuol vivere comunque, ma davanti alla poesia si accorgerà che le parole, una a una e nel loro periodo, a poco a poco lo prendono, gli rivelano un mondo che presentiva, in cui dovrà riconoscersi e non perdere nulla della sua grandezza e della sua miseria.
S’accorgerà che perdendo la faccia si darà un volto, si identificherà e fermerà un momento, perché gli parlino, poi sempre più a lungo, quegli stessi desideri che prima abbandonava e temeva. […]
Il poeta è un uomo mortale che vive con tutta la sua morte e con tutta la sua vita nel tempo, e in sé si consuma e si sveglia, negli altri si popola e si chiama, e nulla possiede che non abbia già amato e perduto. “Volea dire, troverai altri in vece mia, ma no: un cuore come il mio non lo troveraiâ€, ha scritto Leopardi. Lasciate che i poeti siano sicuri di questa disperata bontà per il proprio cuore.»
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